La tragedia di Lampedusa sul palco dell'Eliseo. Lustgarten racconta la paura - Affaritaliani.it

Roma

La tragedia di Lampedusa sul palco dell'Eliseo. Lustgarten racconta la paura

Al Piccolo Eliseo in scena “Lampedusa” il dramma dei migranti e della gente di Lampedusa

Violenze a Lampedusa, rivolte, fughe dal centro accoglienza, furti, lancio di sassi verso gli uomini delle forze armate, tentativi di irrompere sulle navi che collegano Lampedusa e Linosa con Porto Empedocle, ferimenti. La cronaca si riversa sulla scena.

“Non c’è speranza. Tutto è corrotto, i giovani sono soffocati e nessuno ha un’idea di come sistemare le cose” dice Stefano, che fa il pescatore di migranti, quasi tutti morti affogati, nel mar Mediterraneo. E’ Fabio Troiano, che sul palco del piccolo Eliseo racconta: “Perché vengono tutti questi migranti? Non sanno che l’Europa è fottuta? Che l’Italia è doppiamente fottuta? E che il sud Italia è tre volte fottuto?... È come un terremoto: lo senti in Siria, a Gaza, in Egitto, in Libia e sai da dove partirà la prossima onda”.

Sono le parole scritte dal genio di Lustgarten, in “Lampedusa” testo inedito alla prima rappresentazione in Italia per la regia di Gianpiero Borgia, dopo il successo europeo partito con i sold out al Soho Theatre di Londra. Il debutto Italiano l’estate scorsa al Mittelfest del Friuli, poi la tournée iniziata dalla Puglia e proseguita in tutta Italia per finire a via Nazionale a Roma.

La paura dell’altro che ruba il lavoro, che compie attentati, che non si sa chi sia né cosa voglia e le centinaia di morti in mare riecheggiano come bombe nei monologhi del pescatore siciliano alle prese con i naufraghi dei barconi. E nello sfogo di una marocchina che recupera crediti dai poveracci strozzati dalle finanziarie, che parla come Mariangela Melato ma è Donatella Finocchiaro, emerge tutto il disagio di una immigrata in nord Italia di seconda generazione. Si alternano tra loro e si strofinano senza mai interagire, ogni tanto uno sguardo, mentre frugano e schiaffeggiano la platea dal palco scarno degli architetti Alvisi e Kirimoto, nero e freddo come il mare in tempesta.

Lustgarten alimenta di tutto questo il malessere rabbioso disperato e diffidente dei protagonisti, ma non solo. Illumina alla fine questo mare nero un faro: c’è anche una capacità di vedere e meravigliarsi del bello che accomuna tutti gli uomini e permette anche ai protagonisti di scorgere del buono nell’altro e quindi in sé. Il gesto di gentilezza inaspettato da chi apparentemente nulla potrebbe dare, come una immigrata indebitata con figlio a carico che offre una cena, o lo slancio sincero di felicità di due innamorati sopravvissuti alla tempesta in mare. Così si alimenta nella sorpresa la speranza e la possibilità di uno scenario prima inimmaginabile. Una dolcezza ruvida e non retorica abbraccia dal palco la platea, dove qualcuno si commuove e qualcuno sorride, forse ha ricevuto una nuova visione di speranza: oltre gli schieramenti politici e le ideologie ci sono questi piccoli gesti semplici degli uomini, che non hanno nazionalità o razza o religione ma semplicemente un cuore, in un “mare di indifferenza” come ne scrive il Daily Telegraph.

Il genio Lustgarten, acclamato dal Times, dal Guardian e dall’Independent come il nuovo grande mostro sacro della scena internazionale, che ha fatto il tutto esaurito praticamente ovunque con le sue rappresentazioni, evita accuratamente la prima e si presenta a teatro tra il pubblico per vedersi lo spettacolo: è molto contento del lavoro perché, dice “c’è molta energia e molta anima sul palco”. E cuore, si potrebbe aggiungere.