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Roma
Lando Buzzanca, addio da ridere. Il figlio: “Da domani che inizia la guerra"

Massimiliano Buzzanca rompe il ghiaccio di un cielo baltico dieci minuti prima dell’inizio della messa sulla scalinata della Chiesa degli Artisti: “Oggi bisogna ridere, a mio padre sarebbe piaciuto così. Come ha detto Charlie Chaplin un giorno senza ridere è un giorno perso. La guerra e le discussioni cominciano da domani".

Ma al funerale dell’ultimo attore di razza del cinema italiano ci sono quasi più giornalisti, fotografi e operatori che amici, parenti e colleghi. Mancano del tutto gli spettatori dei suoi film. Nessuno riesce a dare un nome ad alcuni volti perché invecchiati e scomparsi dagli schermi, sono professionisti che hanno lavorato con lui negli Anni sessanta e settanta: terminato il filone dei film landeschi si sono inabissati.

Nella Chiesa degli Artisti Sebastiano Somma, Minnnie Minoprio, Giuliana Almirante, Maurizio Gasparri

Tra i volti riconoscibili ci sono Sebastiano Somma, Minnie Minoprio intramontabile, il regista di Fantozzi Neri Parenti fotografatissimo che fuma lunghe sigarette color avorio, Giuliana Almirante, Maurizio Gasparri arriva di gran carriera, il saluto al Senato lo ha tenuto impegnato. Roberta Beta sguscia in chiesa ma viene subito riconosciuta. E poi ci sono numerosi volti della famiglia Buzzanca: nipoti e pronipoti, anche il figlio Massimo alla fine è Lando con venti chilogrammi in più. Una degli ultimi ad allontanarsi quando il feretro viene deposto nel carro è Eleonora Vallone. Michele Cannaritta, l’onorevole Puppis, Zazà il domestico, Giuseppe Cicerchia detto il Fimminaro, Demetrio Cultura detto Dedé, quello che ha  scritto per primo i dieci comandamenti per le mogli: “Primo non rompere i coglioni”, Lollo il Gatto Mammone, Costanzo Nicosia alias Dracula in Brianza, Carmelo Lo Cascio, l’arbitro, l’Io di Io e lui (il “lui” è moraviano), Ariberto da Ficulle, Rosario Trapanese il vichingo venuto dal Sud, il Dottor Danieli, quello del complesso del giocattolo, Giangiacomo Tontodonati detto James Tont, il Michele Pantanò de La parmigiana, l’Antonio Ascalone di Sedotta e abbandonata, il Rosario Mulé di Divorzio all’italiana.

"E' stato il Jim Carrey italiano"

Questi sono solo una parte dei personaggi interpretati da Buzzanca. E' stato un attore “fascista” ma di politica, molto probabilmente, non ha mai capito nulla. Solo ora che guarda il cielo sdraiato nel suo ultimo letto si è spenta la sua comicità fisico-primordiale, quasi slapstick, una corrente a trecentottanta volt che neanche la malattia e il degrado cognitivo erano riusciti a spegnere. Perché “Lando Buzzanca - me lo dice un critico cinematografico che preferisce rimanersene appizzato dietro una colonna reclamando il più rigoroso anonimato - “è stato il Jim Carrey italiano. Ha attraversato quattro media differenti: il cinema, la radio, il teatro e la televisione. Quando hanno cercato di mettergli la testa sott’acqua non ci sono riusciti. Si veda il successo de Il restauratore in tv quando tutti lo davano per finito. Ma la critica davanti alla sua carriera ha sempre alzato il sopracciglio. Hanno cercato di ignorarlo in vita ma lui ne ha sempre riso, non sono riusciti neanche a scalfirlo”.

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