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Roma
Legambiente colta in fallo a Capocotta. Mediterranea sede del circolo, ma anche no

di Valentina Renzopaoli

Che il Mediterranea, una delle spiagge libere più selvagge della riserva di Capocotta, sede del circolo di Legambiente, sia un piccolo angolo di paradiso, ad un tiro di lancia dal caotico e disordinato litorale lidense, non ci sono dubbi. Così come non si discute il ruolo di valorizzazione e recupero ambientale che la cooperativa che gestisce il chiosco ha avuto negli ultimi quindici anni, da quando, cioè, il Comune di Roma ha affidato la gestione del suo arenile più prezioso a sei soggetti. Un lavoro di informazione, tutela della duna e della biodiversità di una zona che era stata per anni abbandonata.
Ma che Legambiente, così attenta al suo ruolo di “guardiano del faro”, in prima linea nel salvaguardare il patrimonio naturalistico e l'accesso al mare libero e gratuito per tutti, non si sia accorta che proprio il chiosco scelto per organizzare eventi, avesse costruito strutture abusive, ampliando lo spazio “commerciale” a disposizione, appare un po' più complicato da sostenere. Un paradosso indigesto difficile da mandare giù. Tanto più che Legambiente è ormai in qualche modo “parte” della maggioranza di governo regionale, visto che l'ex storico vicepresidente del Lazio Cristiana Avenali è un consigliere del Pd di Zingaretti.
E precisare con una nota ufficiale che “Legambiente non gestisce né partecipa al chiosco”, come ha fatto l'associazione ambientalista all'indomani del sequestro da parte dei vigili del X Gruppo, è nascondersi dietro un dito.
Due tettoie chiuse con legno e teli di 56 e 21 metri quadrati e una struttura in legno di circa 31 metri quadrati: questa l'entità dell'abuso edilizio riscontrato al Mediterranea dalla polizia locale che, nel blitz di giovedì mattina, ha messo sotto sequestro oltre 2mila metri quadrati totali tra Porto di Enea, Mecs, Dar Zagaia e Oasi Naturista.
"Legambiente esprime massima fiducia nel lavoro della magistratura e si augura che l’attività di controllo vada avanti per far chiarezza e ripristinare la legalità sul litorale romano, da decenni caratterizzato da speculazioni edilizie e abusivismo” scrive nella nota. Eppure, questa volta non basta avere fiducia e chiedere chiarezza: forse per una volta è proprio Legambiente che dovrebbe spiegare come abbia fatto non accorgersi di nulla o, qualora avesse sospettato qualcosa, a girarsi dall'altra parte.
Quando, la scorsa primavera, all'alba della nuova stagione balneare, Ostia fu letteramente spazzata via dalla bufera che portò all'abbattimento di numerosi chioschi abusivi di Castel Porziano, Legambiente fu la prima a chiedere il ripristino della legalità. Come mai in quell'occasione nessuno pensò di verificare se altri abusi potessero essere stati compiuti a qualche chilometro da lì? Eppure i riflettori erano già puntati anche su quel tratto di costa. La questione delle licenze scadute per la gestione dell'arenile che fece rischiare lo sfratto in piena estate ai gestori delle spiagge libere attrezzate, portò addirittura al lancio della campagna-petizione “Capocotta deve continuare a vivere”. Poi più nulla, né da parte delle istituzioni, né da parte di Legambiente, tanto che ad oggi nessuno sa che estate sarà per le dune più trasgressive d'Italia.

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