Mafia Capitale, epilogo di un'inchiesta che ha fatto tremare Roma: la sentenza - Affaritaliani.it

Roma

Mafia Capitale, epilogo di un'inchiesta che ha fatto tremare Roma: la sentenza

È arrivato il giorno del giudizio dopo 230 udienze

Cade l'accusa di associazione mafiosa per il caso relativo alla Terra di Mezzo, che ha tenuto col fiato sospeso tutt'Italia per anni.

 

Dopo 230 udienze è arrivato il giorno del giudizio per i 46 imputati nel processo. 19 anni per Salvatore Buzzi, 20 per Massimo Carminati, è questa la pena inflitta dalla X sezione del tribunale penale collegiale. La sentenza è stata annunciata nell'aula bunker di Rebibbia, dove i due imputati erano in collegamento video rispettivamente dai carceri di Tolmezzo e Parma.
Per la giustizia non si è trattato di associazione mafiosa ma di associazione semplice. Un caso sgonfiato dalla sentenza arrivata a due anni e mezzo dalla scoperta di una fitta rete criminale che controllava istituzioni e appalti romani.

Franco Panzironi, l'uomo delle mazzette, ex direttore generale di Ama, dovrà scontare 10 anni di prigione, mentre Luca Gramazio e Riccardo Brugia 11 anni, Coratti 6 e Odevaine 6 e mezzo.

“Er cecato”, il re delle Coop, il Pd, la mafietta dei “fregnacciari”, i campi rom, gli appalti che puzzavano e l'accusa di “mafia” per il mondo di mezzo, il sottobosco romano che muoveva la città come se giocasse su una scacchiera.
A giocarsi la carta più importante è anche la Procura di Roma e il capo “Giuseppe Pignatone” che dovrebbe suggellare con una condanna storica il suo attacco alla città della corruzione e che sente sul peso della sua Procura anche quella responsabilità politica che ha travolto una classe dirigente, agevolando l'ira dei cittadini culminata col voto al Cinque Stelle.
La Procura ha chiesto complessivamente più di 5 secoli di carcere, 515 anni, per i 46 imputati, 19 dei quali - tra cui Massimo Carminati, Salvatore Buzzi, Franco Panzironi, Luca Gramazio, Fabrizio Testa e Riccardo Brugua - inizialmente accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Un processo che ha fatto conoscere al mondo intero la “Terra di Mezzo” romana, come la definisce Carminati stesso in un'intercettazione, tra il mondo delle istituzioni e quello della criminalità bassa. Un mondo in cui la gente di tutte le caste si trova per mettere sul piatto della bilancia i propri interessi e per poterne stabilire un prezzo.
L'esistenza dell'associazione a delinquere è stata rivelata il 2 dicembre 2014, ma Mafia Capitale affonda le sue radici nella fine dello scorso millennio e ha inquinato per decine di anni il sistema politico e istituzionale della città di Roma.
Le imputazioni sono diverse: si va dalla già citata associazione di tipo mafioso, all'estorsione, dall'usura, alla corruzione, fino alla turbativa d’asta e al riciclaggio di denaro. Mafia Capitale è infatti un'associazione unica nel suo genere, dove gli appalti truccati si accompagnavano alla classica criminalità da strada, perché l'organizzazione non perdesse la sua forza intimidatoria. Nonostante questo, gli episodi veri e propri di violenza hanno ricoperto un ruolo secondario, messi in ombra da macchinazioni politiche che hanno coinvolto assessori, consiglieri e grandi imprenditori.
Termina così quello definito da Bruno Giosuè Naso, il legale di Massimo Carminati, un processetto farsesco, in cui delle “chiacchiere da fregnacciari” sono state prese per errore alla lettera, montando un caso inesistente. "Se il procuratore Pignatone avesse indicato un sostituto romano non avrebbe fatto male. La romanità è una cosa tutta particolare. I colloqui nella pompa di benzina di Lacopo, voi non li potete capire perché non avete la capacità di capire, di rendervi conto delle fregnacce che si dicono tra loro. Solo voi potevate prendere sul serio 'Mondo di mezzo', un romano ce rideva sopra, avrebbe detto 'questi sò cazzari'" ha spiegato Naso in un'arringa che ha aperto addirittura con una terzina dantesca, quella conclusiva dell'Inferno della Divina Commedia.