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Roma
Muore per colpa dell'amianto, Inps obbligata a rivalutare la reversibilità

Operaio delle Ferrovie dello Stato morto per mesotelioma: la Corte d'Appello dà torto all'Inps e, accogliendo le tesi dell'Osservatorio Nazionale Amianto, obbliga l'Ente previdenziale a rivalutare la pensione di reversibilità della vedova.
Nel luglio 2014 era arrivata la doccia fredda per le Ferrovie dello Stato, costrette a versare un risarcimento record per non aver tutelato un suo dipendente, ora arriva anche la sentenza della Corte d'Appello di Roma, che obbliga l'Inps a riconoscere i benefici amianto e a versare agli eredi la rivalutazione del periodo maturato secondo le legge. Una doppia vittoria per l'Osservatorio Nazionale Amianto che segue da molti anni il caso.
Al centro della vicenda giudiziaria c'è la storia di A.C., un dipendente della Ferrovie dello Stato che ha lavorato come operaio prima presso le Officine Grandi Riparazioni di Torino, successivamente a Roma Termini.
Esposto per molti anni all'amianto per aver svolto le sue mansioni senza le maschere di protezione, l'uomo si è ammalato nel 2004 di mesotelioma ed è deceduto nel luglio del 2006. Patologia diagnosticata anche dall'Inail che nel 2007 ha riconosciuto la malattia professionale.


Gli eredi della vittima, attraverso il loro legale, l'avvocato Ezio Bonanni, avevano chiesto all'Inps la rivalutazione dell'intero periodo lavorativo e l'adeguamento della pensione di reversibilità erogata alla vedova con il coefficiente 1,5, per l'intero periodo di esposizione alle polveri di amianto, con conseguente rivalutazione degli importi della pensione. L'inps aveva rifiutato di rivalutare la pensione di reversibilità liquidata alla vedova del lavoratore deceduto perché sosteneva che non c’era esposizione ad amianto ed effettivamente il Tribunale di Roma inizialmente gli aveva dato ragione, peraltro senza alcun accertamento tecnico.
L’avvocato Ezio Bonanni ha contestato la sentenza del Tribunale di Roma ed ha ricorso alla Corte d'Appello di Roma, la quale ha disposto un accertamento tecnico in seguito al quale è emerso che il deceduto è stato esposto ad amianto per tutto il periodo lavorativo.

E questo beneficio si applica anche alle pensioni di reversibilità liquidate al coniuge: “in tema di benefici previdenziali per i lavoratori esposti all'amianto, ai sensi dell'art. 13, comma 7, della legge 257/1992, la certificazione da parte dell'Inail dell'insorgenza della malattia professionale comporta il riconoscimento, sia ai fini del diritto che della misura della pensione, del beneficio della maggiorazione per 1,5 del periodo di esposizione, indipendentemente dalla durata e dalla natura qualificata della stessa, derivante dai valori di concentrazione delle fibre di amianto in rapporto alla durata giornaliera dell'esposizione stessa con riferimento ad una media annuale”, si legge nella sentenza che riporta una sentenza di Cassazione del 2015.
Pertanto i giudici della Corte d'Appello hanno ordinato all'Inps “la rivalutazione del periodo lavorativo del dipendente tra il 1973 e il 1991, mediante la moltiplicazione del coefficiente 1,5 e l'adeguamento della pensione di reversibilità; inoltre condanna l'Inps al pagamento delle differenze maturate sulla prestazione dalla data della domanda e delle spese legali”.

«È una decisione rilevante quella della Corte di Appello di Roma che condanna l’INPS, in quanto rigetta le eccezioni di decadenza per la mancata presentazione della domanda all’INAIL entro il 15 giugno 2005, e perché dichiara questo diritto alla rivalutazione pensionistica anche in favore del titolare della pensione di reversibilità”, sostiene l'avvocato Ezio Bonanni. “Si deve evidenziare ancora che in ogni occasione in cui c’è in ballo un diritto delle vittime dell’amianto, gli Enti previdenziali non lo riconoscono se non in seguito a sentenze della Magistratura. Sarebbe auspicabile che nel futuro l’INPS applicasse questa legge dello Stato e cioè il diritto alla rivalutazione in favore dei lavoratori esposti e vittime dell’amianto, evitando di costringere queste vittime sventurate a dover ricorrere sempre e comunque all’autorità giudiziaria».

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