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Roma
Muore un amico, muore un tesoro. Addio a Pierluigi Pasqualetti, cuore di Roma

di Fabio Carosi

Due settimane fa sono passato al Gemelli per un saluto. Erano anni che non lo vedevo e non lo sentivo ma ogni volta che mi mettevo a scrivere mi veniva in mente: “A Fà sbrighete che dovemo chiude er giornale... stamo tutte le sere a aspettà te”.

Quattordici anni di vita passati insieme. Meglio quattordici anni di notti passate insieme, sempre con quella luce negli occhi e un'energia unica. Se n'è andato a modo suo Pierluigi Pasqualetti, storico Proto (con la maiuscola) del Messaggero, compagno di pagine chiuse alle ore più impensabili, stroncato da un male che ce l'ha strappato con una violenza inaudita

Marito di Giuliana, donna con la sua stessa luce negli occhi; moglie che non lo avrebbe tradito manco se dal Colosseo fosse arrivato alla Garbatella Russel Crown in persona, a proporle una fuga a bordo di una biga dorata, trainata da due coppie di cavalli arabi.

Metodico, maniaco della perfezione, Pierluigi il giornale non lo faceva, lo rimodellava e lo mandava in stampa perfetto, anche quella notte che la redazione di Frosinone spedì al concentratore i risultati a bosco delle elezioni comunali, rischiando di mandare in tilt il sistema. A salvare il lavoro di direttori, capiredattori, cronisti, uscieri e spedizionieri con Pierluigi c'erano Ugo Ridolfi, Armando Carosi, Gigi Lanzi e Giorgio Zecchini e all'ultimo piano le mani gigantesche e il cuore immenso di Renzo Mirri.

Gigi classe 1951, perché Pierluigi non l'ha mai chiamato nessuno, aveva una serie di chiodi fissi: Giuliana, Carlo il figlio perfetto (che mia figlia Susanna a due anni chiamava “Callo bello”), Franco il figlio giornalista che osava e osa dove gli altri non vanno e non andranno mai; la Roma, la Garbatella e la Formula Uno, coi pezzi di Marco De Martino che gli facevano sentire il profumo del paddock e la puzza di benzina. E poi l'ultima arrivata Sofia, la piccola Sofia che gli sussurrava “Forza Nonno”.

Adorava quelli che scrivevano col cuore ed era deciso coi forti e amorevole coi deboli. Nell'armadio ho ancora un giubbotto di pelle per la moto, acquistato insieme un pomeriggio a Porta Portese, da un personaggio del mito di Roma come “er Barone”. Perché Giggi era uno dei personaggi di una Roma sempre disponibile e generosa a piene mani che se ti apriva il cuore te lo regalava. Me l'ha regalato e non lo dimenticherò mai. Anche 14 giorni fa mentre dal letto dell'ospedale Gemelli, mi spiegava a modo suo la tecnica com la quale avrebbe riorganizzato almeno un paio di Reparti per far sentire i pazienti meno un cartella clinica e più uomini e donne.

Poi la telefonata durata un'ora nella quale mi ha riassunto la sua malattia e la battaglia iniziata prima dell'estate e come sarebbe andata a finire “ 'sta storia der virus”. La prima cosa che mi ha chiesto è stata: “Chi t'ha detto che stavo qui”. E col delirio da giornalista gli ho risposto al volo: “Aaaa Giggi... io le notizie le dò non le pijo”. Ed è scoppiato a ridere

Caro Gigi, amico mio. Ci rivediamo dall'altra parte “affà er giornale” con una promessa: stavolta rilascio il pezzo in tempo, così almeno tene vai a casa prima. “Quando arrivo te citofono”.

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