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Roma
Paradise Papers, “Quale scandalo, chi può delocalizza e si ribella alle tasse”

di Valentina Renzopaoli

Paradisi fiscali, tutti ne parlano male ma poi tutti sognano di diventare ricchi e portarci i propri soldi, per proteggerli dalle tasse alle stelle. L'argomento è tornato alla ribalta con lo scandalo “Paradise Papers”, che ha visto coinvolti Regine, principi, università, politici, finanzieri e multinazionali.

 

Si tratta di oltre 13 milioni di file degli studi legali offshore Appleby e Asiatici passati da una fonte anonima al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ed esaminati da 95 testate partner di Icij, consorzio internazionale di giornalisti investigativi che nel 2016 ha vinto il premio Pulitzer per l’inchiesta Panama Papers.
In futuro, nelle liste potrebbero finirci anche diversi imprenditori italiani. Paolo Zagami, avvocato ed esperto di Diritto Internazionale Privato e autore del libro edito da Rubbettino “L’Impresa Internazionale nei cosiddetti Paradisi Fiscali” ha scelto Affaritaliani.it per spiegarci tutti i segreti del “paradiso”.


Avvocato, il nuovo scandalo che riguarda i paradisi fiscali si può davvero definire uno “scandalo”?

“Anche questa volta mi verrebbe da dire “nulla di nuovo sotto il cielo”. Nel senso che ormai ciclicamente ogni anno e mezzo emerge alla ribalta dei media lo “scandalo finanziario” più grande mai verificatosi ma in realtà si tratta di una storia più volte vista e rivista. Insomma, l’inchiesta “Paradise Papers” non ha rivelato chissà cosa ma ha semplicemente confermato quanto già si sapeva, e cioè che anche i più stimati politici ed imprenditori delocalizzano i propri soldi nei tax heavens”.

Quando si parla di paradisi fiscali, si pensa sempre alle isole tropicali, alla spiaggia bianca in mezzo agli oceani. Ma è davvero così?

“Sul punto invito a fare molta attenzione. Infatti i veri paradisi fiscali non sono le isolette caraibiche con tanto sole e tante palme ma piuttosto sono i grossi centri finanziari ed in particolare la City di Londra e Wall Street a New York. Al riguardo, Londra è già diventata il vero centro di “smistamento” di tutti gli altri paradisi fiscali del mondo perché con e grazie alla Brexit adesso la deregulation è ancora più marcata e senza i vincoli imposti dalla Unione Europea i controlli ancora meno stringenti”.

Avvocato, ma perché si ricorre ai paradisi fiscali?

“Perché certi Paesi piuttosto che altri offrono tassazione agevolata e segretezza nel rispetto delle leggi internazionali oltre che una maggiore sicurezza nel preservare i patrimoni personali ad esempio da impreviste svalutazioni o crisi monetarie ed economiche. Ed anche perché subentra il fattore psicologico: spesso c’è una sorta di reazione alla confusione fiscale ed alla carenza di servizi offerta dallo Stato per cui un privato si sente in diritto di portare i propri soldi all’estero come forma di ribellione alla “mala gestio” dei governi e sottrarli alla tassazione nazionale”.

Ma chi sono i “fortunati” che possono permettersi di “ribellarsi” alla supe tassazione?

“Sino a qualche anno fa erano solo le grandi multinazionali ed i privati molto ricchi e potenti che con sofisticate tecniche di elusione cercavano di ottimizzare il proprio carico fiscale delocalizzando in Paesi “attraenti”. Ancora oggi, in questa ultima inchiesta risultano coinvolti le Regine di Inghilterra e Giordania, il Ministro del Commercio di Trump e star della musica come Madonna e Bono, ma adesso il fenomeno riguarda tutti coloro che detengono immobili e somme di denaro. Il voler investire i propri capitali all’estero o semplicemente il dislocare i propri profitti in territori in cui il livello di tassazione è minimo è diventato prerogativa anche dei piccoli imprenditori o di coloro che ad esempio ricevono una grossa eredità”.

Qual è stato il coinvolgimento dell'Italia nell'inchiesta?

“In questa nuova inchiesta vi sono pochi e poco importanti soggetti italiani ma non mi stupirei se in futuro queste famose liste dovessero contenere molti altri nostri connazionali. Infatti, il livello di tassazione globale nel nostro Stato è diventato insostenibile. L’Italia è un Paese che non solo tassa ma anche e soprattutto tartassa i suoi cittadini con un numero infinito di imposte ed un sistema fiscale farraginoso e complicato tanto che perfino un leader politico nazionale si è spinto a dire che non pagare le tasse a volte è morale e che il direttore della agenzia delle entrate qualche anno fa ha riconosciuto gli errori e le incongruenze della riscossione. Il cittadino ha il dovere di pagare tutte le tasse sino all’ultimo centesimo ma l’amministrazione ha il dovere di mettere il cittadino stesso nelle condizioni di pagare il giusto”.

Senta, ma ci sono italiani che possono permettersi di portare cifre considerevoli all'estero?
“Molti di più di quelli che si pensa”.

Qual è a suo giudizio, la soluzione per evitare che ciclicamente si verifichino questi scandali?
“Gli strumenti per arginare il fenomeno ci sarebbero ma non si usano per motivi politici. Basti pensare ai controlli incrociati ed allo scambio automatico di informazioni basato sui modelli di Voluntary Disclosure, Foreign Account Tax Compliance Act, Common Reporting Standard e Base Erosion and Profit Shifting. Per altro verso va comunque però rilevato che spesso - oltre che risultare leciti - gli investimenti e quindi lo svolgimento di specifiche operazioni in determinati territori definiti “paradisi fiscali” hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo centrale per l’economia mondiale, agevolando la internazionalizzazione delle attività economiche e costituendo pertanto una fonte di incentivazione per l’intero mercato finanziario globale”.

La sola definizione di “paradiso fiscale”, nell'immaginario pubblico, sollecita un'idea di trasgressione e quindi di “amore-odio”. Tutti ne parlano male però, diciamocelo, tutti sognano questa opportunità. Perchè?

“Molto spesso si fa confusione tra ciò che è lecito e ciò che è illecito sbattendo il “mostro” in prima pagina ma la delocalizzazione in Paesi esteri – a parte ovviamente il caso del riciclaggio – è lecita ed è tutelata nel perimetro del diritto tributario internazionale. Infatti di per sé avere un conto corrente all’estero o una società offshore non è illegale. Così come assolutamente non è illegale a priori la costituzione di un trust o le pratiche di transfer pricing o di tax ruling”.

Quali sono gli interessi nascosti dietro i paradisi fiscali?

“La politica ormai è serva degli interessi finanziari e di fondo c’è una grande ipocrisia. Io nel mio libro parlo di “grande menzogna”. I più importanti Paesi del mondo a parole sembrano voler contrastare e condannare il fenomeno offshore ma in realtà si pongono in concorrenza tra loro offrendo rifugi sicuri con bassa o nulla tassazione a capitali di varia provenienza. Del resto, i partiti politici di ogni nazione e colore si servono della retorica inerente i paradisi fiscali perché specie in campagna elettorale fa comodo essere individuati e catalogati come il partito che si schiera contro le tasse”.

Quali esempi concreti dimostrano che in realtà gli Stati fanno gli interessi delle grandi multinazionali o di chi comunque vuole pagare meno tasse? 

“Sicuramente la Web-Tax, vale a dire la tassa sulle multinazionali della rete come Google, Facebook e Twitter che hanno il 60% del loro fatturato in Europa ma pagano solo il 10% di tasse. Nell’ultimo Consiglio europeo la proposta non è passata nonostante le pressioni dei grandi quattro Paesi Ue: Italia, Spagna, Francia e Germania. Perché a non volere una tassa del genere sono proprio quegli Stati che hanno risollevato le loro economie grazie a sistemi di fiscalità permissivi”.

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