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Roma
Piazza Indipendenza, la rifugiata: “L'Isis fa bene. Noi trattati come animali”

Piazzale Indipendenza, scontro tra occupanti e polizia: botte e idranti anche davanti ai bambini. Esplode l'ira dei migranti: “Trattati come animali, ora capisco l'Isis”.

 

Pianti, urla e rabbia. Roma si trasforma in un campo di battaglia e tra gli occupanti spunta anche chi invoca l'Isis. A rappresentare il malcontento generale, una donna africana che decide di non rivelare il proprio nome, ma sceglie termini molto forti per esprimere la propria rabbia: “Ricordiamoci dove è nato l'Isis", ammonisce. "Ora li capisco, inizio a pensare che non siano poi così cattivi”. È una dei protagonisti degli scontri di Piazza Indipendenza, triste teatro dello sgombero che ha visto genitori picchiati e trascinati di peso davanti ai propri figli. “Sono stata giorni interi sotto il sole, nonostante fossi uscita di recente dopo l'ospedale e stessi male – continua la donna - Neanche la vita nel palazzo era eccezionale, eravamo in 18 conun unico bagno e non avevamo l'aria condizionata. Siamo stanchi e ci stanno prendendo per fame, è troppo. Stiamo morendo”. Sul luogo di quella che è stata un vera e propria guerriglia urbana aleggia un'atmosfera spettrale, un silenzio surreale interrotto solo dai mezzi dell'Ama al lavoro. In mezzo alla piazza lo spettacolo indecoroso di cibo, vestiti e materassi abbandonati in fretta e furia. I turisti passano sgomenti, facendo foto alla degradante situazione a due passi da Termini. Vigile e presente già dall'alba un commerciante bengalese, proprietario della piccola edicola che sorge al centro della piazza e testimone oculare dell'evento: “Ho visto gente fuggire, scappare terrorizzata. Problemi? Nessun problema con le persone accampate qui fuori, ma ho avuto molta paura della polizia”.

A pochi metri dalla piazza, presidiata dagli agenti, circa cinquanta rifugiati, confusi, spaventati e arrabbiati. Tentano di capire quale sarà il loro futuro, di riorganizzarsi, ma con il passare del tempo l'aria si fa più pesante e prevale l'ira. Serpeggia la sfiducia e la voglia di reagire all'ingiustizia, ma in pochi vogliono raccontare il proprio punto di vista. Si fa avanti un ragazzo di 31 anni, di poche parole e con tanta rassegnazione nella voce: “Sono da quattro anni in Italia. Per lavoro carico e scarico merci. Ma ora sono costretto a farmi ospitare da alcuni amici. Documenti, valige, tutta la nostra vita è stata buttata. Ed è tutta responsabilità della polizia”. Al giovane fa eco Desale, un eritreo di 37 anni, con cui condivide lo stessa incertezza sul futuro: “Qui in Italia non c'è lavoro, non c'è possibilità per noi. Sono costretto a dormire in strada e mangiare alla Caritas. Ci hanno picchiato e cacciato, ora non so dove andrò”.

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