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Roma
Radio Rai, Ruggero Po lascia e diventa scrittore. Da Capodistria a Zapping

di Valentina Renzopaoli

“La notte dei Misteri”, il radiogiornale, “Baobab”, “Radio Anch'Io” e poi “Zapping”: un percorso da record e da milioni di ascoltatori. Dopo venticinque anni sulle frequenze di Radio Rai, il giornalista Ruggero Po lascia l'emittenza pubblica e prepara nuovi progetti. Primo tra tutti, un libro per raccontare come si fa la radio.
Quarantacinque anni al microfono, migliaia di personaggi intervistati, decenni di storia raccontata, e un buon numero di trasmissioni portate o riportate al successo. Una delle voci più calde della radiofonia italiana, chiude la sua lunga esperienza.
Il suo percorso professionale inizia quando, a 17 anni, si fa bocciare due volte, pur di raggiungere, da Carpi, gli studi di Radio Capodistria: 400 chilometri per andare a registrare le sue prime trasmissioni. Nel Sessantanove non esistevano ancora le emittenti private, la radio si faceva con la cartoline postali e le puntate dovevano passare al vaglio della “censura” prima di andare in onda.
Poi arriva la stagione delle radio private e Po è tra i fondatori di Radio Bruno a Modena, una radiolina di quartiere, poi diventata un punto di riferimento. Alla fine degli anni Ottanta mette il primo piede in Rai, dove rimarrà per un quarto di secolo.
Sposato praticamente da sempre, una figlia biologa e ricercatrice all'Università sulle cellule staminali, un nipotino, Valentino, di 4 anni, di cui segue la crescita con gli strumenti che gli sono più cari, l'osservazione e il racconto. Ruggero Po ha scelto affaritaliani.it, per spiegare la sua scelta, raccontare la sua esperienza e svelare qualche aneddoto.

Ruggero Po, partiamo dal finale: che esperienza è stata “Zapping”?

“Forse la più bella dell'intero percorso: il Ruggero Po di “Zapping” è stato il vero Ruggero Po. Mi sono sentito me stesso, libero di scherzare, di usare l'ironia e l'autoironia, di saltare dalle notizie del giorno con ospiti autorevoli ai temi più leggeri. Un programma senza filtri che mi ha dato l'opportunità di ascoltare tanta gente. Ho potuto fare jazz, improvvisare tra serietà e leggerezza, mostrando i miei diversi registri e divertendomi. Quella di “Zapping” è stata la redazione più piccola mai avuta, ma la mia preferita”.

E poi è stato un grande successo...

“E una grandissima soddisfazione: quando ho preso “Zapping” nel 2014, il programma aveva 210mila ascoltatori ed era seconda dopo “La Zanzara” di Cruciani. Oggi lascio un programma da 292mila ascoltatori, che significa una crescita del 39%. Ed è la prima, Cruciani sta dietro di me”.

Come è arrivato in Rai?

“Dopo la mia esperienza a Radio Capo d'Istria e in alcune appena nate radio private, mandai un curriculum in Rai, mi chiamarono per un colloquio e mi offrirono nove mesi di contratto nel programma “3131” su Radio 2, condotto da Corrado Guertoni che  è stato poi il mio maestro. Venivo dalla Provincia e a Roma non mi muovevo tanto bene. Mi misero in mano la lettera di un prete di Palermo e mi spedirono a fare una diretta nell'allora sconosciuto quartiere Zen di Palermo. Fu il mio battesimo di fuoco: l'ambiente era quello che noi oggi vediamo in “Gomorra”: facemmo un'ora e mezza di diretta barricati dentro la chiesa, non appena finì la trasmissione, la polizia mi scortò fino in albergo e mi rimbarcò verso Roma. La puntata ebbe molto successo, tanto che l'allora ministro agli Affari Sociali Iervolino, volle replicare. Praticamente vinsi la lotteria. Da quel momento mi guardarono tutti con gli occhi con cui si guarda una persona che aveva fatto un buon lavoro. Rimasi in Rai”.

Venticinque anni in Rai e al microfono delle più importanti e innovative trasmissioni: “La notte dei misteri”, “Baobab”, “Radio Anch'Io”, “Zapping”, passando per il Gr. Possiamo dire che “Radio Anch'Io” ha rappresentato la sua  “incoronazione”. Si aspettava di approdare al primo programma di Radio Rai Uno?

“Ora le racconto com'è andata: nel 2010 a Radio Uno arrivò Antonio Preziosi come direttore: mi proposero un programma che era davvero inaccettabile, e allora mi lanciai io stesso nella proposta di condurre “Radio Anch'io”. Preziosi accettò regalandomi un trono per cinque anni. Anni difficili: era il periodo della fine del berlusconismo, del Governo Monti, del debutto di Renzi. Il direttore voleva un programma ingessato, ma per me è stata una grandissima opportunità condurre una trasmissione che aveva avuto la voce di gente come Oriana Fallaci e Umberto Eco”.

Dove ha messo le mani lei, o meglio la voce, è stato un successo. C'è una ricetta, un segreto per fare della buona radio?

“Credo che dipenda dalla qualità individuale di ciascuno: io cerco di parlare come parla la gente. Ed è una regola per me imprescindibile. Non amo i fronzoli, né le domande “saputelle”; credo sia un errore mostrare di sapere più degli altri. E poi sono sempre attento al ritmo, taglio un attimo prima del dovuto, cambio argomento, preferisco tagliare corto e inserire una cosa in più”.

Come è cambiata l'Italia in questi anni? Che Italia è quella che oggi interviene in radio per commentare e fare domande?

“Oggi l'Italia è un Paese da “social”: un popolo reattivo ma nel modo sbagliato. E' cambiato il modo di esprimersi, quello che si legge su facebook è lo specchio di quello che siamo diventati e di quello che si sente anche in radio. La sovrabbondanza di informazioni che arrivano dalla rete ha creato una grande confusione e l'incapacità di scindere il vero dal falso. Tutto possono esprimersi, per fortuna, ma non tutti hanno gli strumenti per verificare le fonti o capire se sono attendibili. E poi, mi spiace dirlo, ma sono scandalizzato da un preoccupante razzismo di ritorno”.

Chi, tra le migliaia di personaggi che ha incontrato durante il suo percorso, le è rimasto nel cuore?

“Sarebbe troppo lungo elencarli. Ma voglio ricordare un episodio dei miei inizi: nel 1973 lavoravo a Capodistria e andai a Bologna per uno storico concerto di Joan Baez, che all'epoca era la numero uno al mondo. La sua impresaria aveva fatto sapere che non avrebbe rilasciato interviste ma io mi misi in testa di incontrarla. Scoprii in quale albergo alloggiava e mi infilai dentro. Mi scoprirono e ci fu un litigio con l'impresaria. Il destino ha voluto che in quel momento, Joan Baez passò dalla reception, si accorse di me e domandò quale fosse il problema. Senza battere ciglio, mi regalò tre ore di intervista. Fui l'unico a intervistarla. Lei era appena tornata dal Vietnam dove era stato da poco firmata la pace, parlammo anche di questo”.

Ha mai pensato a prestare la sua professionalità ad altri media?

“Ho lavorato in una televisione locale di Modena da ragazzo, per un paio d'anni. Conducevo il telegiornale e dibattiti politici, e realizzavo servizi per il tg. Ma sono letteralmente scappato. Le telecamere mi mettono a disagio, così come parlare davanti ad una platea”.

Non sarà mica timido? Un conduttore da mezzo milioni di ascoltatori?

“La verità invece è che sono proprio una persona molto timida, e se devo parlare davanti ad un pubblico, mi si asciuga la lingua, mi devo forzare e non mi sento a mio agio. Invece in radio, mi basta alzare gli occhi, guardare la mia regista e partire”.

Rimpianti per qualcosa che avrebbe voluto fare e non ha fatto?

“Assolutamente no, sono fortunato. Da quando ero bambino sognavo di fare la radio e l'ho fatto. Ho fatto praticamente tutte le esperienze che volevo fare e non è finita qui, perché continuerò a divertirmi”.

Ecco, a proposito, e ora? Ruggero Po dove approderà?

“Ci sono diversi progetti in cantiere. Innanzitutto, sto cominciando a scrivere un libro per raccontare come si fa la radio. Racconterò come per quarantasei anni mi sono dedicato al mezzo radiofonico, ma soprattutto come la radio è cambiata. Dalla   cartolina postale al tweet: una rivoluzione. Un testo che andrò ad illustrare anche nelle università, affiancando i docenti. E poi, si vedrà. Continuerò ad essere un giornalista con modalità un po' diverse”.

Lei è anche un personaggio social da circa 15mila follower: vuole dire qualcosa ai suoi amici di rete?

“Da settembre i miei post i facebook, attraverso i quali esprimo opinioni, commenti e ironia, diventeranno dei “post audio” sui fatti della giornata. Un modo per continuare a lasciare la voce”.

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