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Roma
“Raggi come Attila, dove passa lei non crescono più neanche gli orti urbani”

di Andrea Catarci *

Raggi è come Attila, ora vuole distruggere gli Orti Urbani con la clava di un regolamento indecente.

Ai progetti di trasformazione urbana in cui gli interessi privati prevalgono in maniera eclatante su quelli pubblici si aggiungono quelli in cui Roma Capitale non pretende nemmeno le opere previste per la collettività; all’autobus che viene avvolto dalle fiamme si somma quello in cui piove a catinelle; al quotidiano e indecente spettacolo dei cumuli di immondizia su strade e marciapiedi si affianca il mancato ritiro degli ingombranti persino nelle scuole in fase di apertura.

Urbanistica, trasporto pubblico e rifiuti sono tre note dolenti di una città in costante peggioramento, che rimandano ad altrettante vicende specifiche di questi giorni: l’imminente apertura del centro commerciale Maximo al Laurentino, gli ennesimi episodi di deterioramento/pericolosità delle vetture ad Acilia e a Tor Pagnotta, la denuncia di un preside di Monteverde costretto a pagare una ditta privata per smaltire i banchi e le sedie dopo le inutili richieste rivolte all’Ama.

La realtà è che fino all’ultimo la Sindaca Raggi che si ricandida per il secondo mandato non rinuncia a s-governare, come ha fatto dall’estate 2016 per quattro anni abbondanti. Lo fa a 360 gradi, non risparmiando nulla ai Romani. Mentre sulle questioni strategiche, tra inerzia e azioni sbagliate, acuisce le sofferenze di una città che in mezzo alla crisi economica e sociale del post-covid è ancora priva di uno straccio di piano per il lavoro e di sostegno all’impresa, riesce contemporaneamente a mortificare le energie migliori e a indebolire le iniziative che hanno reso Roma più vivibile e inclusiva. Così ha fatto nei mesi del lockdown, quando si è defilata dalle proprie responsabilità disinteressandosi della meritoria ed eccezionale opera di solidarietà messa in campo dalle reti del volontariato, preferendo esaltare la multa comminata a qualche runner e la logica del controllo e della repressione. Così ha fatto prima e dopo, accanendosi su occupazioni socio-abitative, centri sociali, case delle donne, associazioni impegnate nel sociale e nella cultura, eccellenze artistiche, palestre popolari, coworking innovativi e inclusivi, comitati civici impegnati nella presa in carico gratuita e volontaria di aree verdi e problematiche urbane.

Per “regolamentare” la giunta Raggi attacca l’esperienza eccellente degli Orti Urbani

A finire nel mirino tocca stavolta agli orti urbani, una straordinaria esperienza cresciuta capillarmente negli ultimi anni con l’obiettivo generale di recuperare a uso agricolo i terreni abbandonati o degradati, nel segno della partecipazione popolare, di una ritrovata socialità, del dialogo intergenerazionale, di una rinnovata dialettica tra campagna e città, della valorizzazione del territorio come Bene comune. A Roma se ne contano 150, frutto del lavoro di persone che si sono rimboccate le maniche e, talvolta cercando la collaborazione con gli Enti municipali, hanno bonificato aree infrequentabili e maleodoranti. Insieme a diverse tipologie di orto hanno sviluppato azioni di inclusione dirette a soggetti deboli, forme di sostegno al reddito attraverso i prodotti coltivati, sperimentazioni di gestione democratica delle assegnazioni, collaborazioni con università, scuole e tessuto associativo, districandosi in mezzo a divieti e regole spesso incomprensibili e talvolta pure alla rigidità del personale chiamato ad applicarle. Da ultimo ma non per ultimo, va ricordato che hanno fatto risparmiare a Roma Capitale e alla collettività centinaia di migliaia di euro in bonifiche, pulizie e smaltimenti, assumendosi l’onere di mantenere la vivibilità permanentemente e non occasionalmente.

Un bel giorno arriva la giunta Raggi e questo miracolo avvenuto nel comune agricolo più grande d’Europa viene minacciato. Spunta un nuovo regolamento che, oltre a imporre una quota - seppur simbolica – di affitto, introduce il principio della scelta delle aree da parte del Campidoglio, prevede assegnazioni tramite bandi e impone rigide norme di manutenzione degli spazi a cui conformarsi. Tradotto si potrebbe sintetizzare così: l’amministrazione inadempiente non era in grado di gestire i propri appezzamenti e sperperava soldi in interventi inutili e poco duraturi, la cittadinanza si organizza e risolve il problema con la propria operosità producendo molteplici elementi di valore aggiunto, la stessa amministrazione si risveglia e anziché manifestare riconoscenza pretende di imporre regole e balzelli. Insomma, un miope e ottuso dirigismo è la risposta a un protagonismo dal basso che è stato in grado di cambiare la qualità della vita e delle relazioni in diversi ambiti della metropoli.

Nel dopo Raggi vanno valorizzate le mille anime del protagonismo diffuso

Non deve più succedere. Tra gli impegni che lo schieramento democratico deve assumere nel percorso per liberare Roma e trasformarla ci deve essere quello di riconoscere e sostenere tutte le soggettività virtuose – tra cui gli Orti urbani -, rimuovere gli ostacoli che devono affrontare, accompagnarle nell’impresa di esplorare i margini di miglioramento e le potenzialità inespresse. Anche su questo la giunta Raggi e il M5s hanno fallito. Anche da questo può e deve inaugurarsi una nuova stagione per Roma.

* Andrea Catarci, coordinatore del Comitato scientifico di Liberare Roma

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