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Roma
“Raggi e la lezione politica di Petroselli: il Pd non non la capisce”

di Giuliano Pacetti *

Virginia Raggi nel suo primo discorso da Sindaca in Assemblea Capitolina volle ricordare come il 27 settembre 1979 Luigi Petroselli nel suo discorso di insediamento rilanciasse il principio e il sentimento di umiltà, raccogliendo l’eredità di un altro gigante della storia capitolina, Giulio Carlo Argan, contraddistintosi per l’alto rigore intellettuale e morale. Quel riferimento, un vero e proprio manifesto che invitava il Pd a ripensare sé stesso, purtroppo non è stato raccolto.

E così si assiste al fiorire di candidature, terze linee utilizzate solo per essere fomentate dai media a dichiarare qualche cosa contro Virginia Raggi. È il centrosinistra del tanto peggio tanto meglio, quello che utilizza Roma a fini interni di partito.

Spunta persino Carlo Calenda il fustigatore, l’incoerenza fattasi realtà, quello che vai a dormire la sera e non sai la mattina quale casacca stia vestendo: si candida con Mario Monti e bocciato dagli elettori si dimentica di tutto il fango gettato addosso al Partito Democratico e corre a fare il Vice Ministro nel Governo Letta; cade Enrico Letta e torna alla critica sino a che Matteo Renzi per tacitarlo non lo manda in Europa; rientra in Italia direttamente come Ministro dello Sviluppo Economico e una volta tornato disoccupato minaccia sulla pubblica piazza di strappare la tessera del Partito Democratico; questa volta tocca a Nicola Zingaretti tacitarlo con un posto da capolista alle europee ed ora da quella nuova posizione ha fondato un suo partitello. Tocca ancora a Matteo Renzi tacitarlo ed ops! ecco la candidatura a sindaco di Roma. Daje Carlè che gli elettori del Partito Democratico non aspettavano altro.

Ma accantoniamo questa baracconata e torniamo alla politica. Luigi Petroselli, nei suoi 642 giorni da Sindaco lavorò quotidianamente a risocializzare la città, in quanto i rapporti civili ed il clima di scontro sociale erano arrivati ad un punto insostenibile, una stagione che oggi stiamo rivivendo con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, impegnati a fomentare la ribellione ad ogni occasione.

Quando Virginia Raggi, prima donna a vestire la fascia tricolore di Sindaco di Roma, richiamò la figura di Luigi Petroselli, delineò una sorta di linea spartiacque tra quanto era stato e quanto poteva essere fatto. Dall’insediamento di Michelangelo Caetani, primo sindaco della Città nel 1870, passarono 41 sindaci sino a che nel 1925 la carica fu abolita dal Partito Nazionale Fascista che insediò il Governatore, terminologia nostalgica che una tendenza di destra ha introdotto per identificare i Presidenti di Regione. Poi, dal 1944 abbiamo avuto 16 sindaci diversamente democristiani, sino al 1976 quando sindaco divenne Giulio Carlo Argan.

Roma era messa male e fu per i romani una fortuna trovare la stagione di Luigi Petroselli, che fu pronto non solo a stare vicino agli ultimi, perché nessuno doveva rimanere indietro, ma anche così forte da resistere alla pressione dei “palazzinari” e dei proprietari delle aree da edificare. Dalla sua storia e dai suoi comportamenti abbiamo appreso l’importanza che aveva per lui impedire alla speculazione di appropriarsi del verde pubblico, l’importanza di accendere le luci ed illuminare la città, l’importanza di fornire acqua pubblica e nella quantità che serve ogni cittadino ed in ogni zona della città, l’importanza di asfaltare le strade, l’importanza di difendere e curare i parchi e inventare spazi pubblici da trasformare in luoghi di aggregazione sociale. Che la destra qualunquista su questi argomenti mostri troppo spesso i muscoli e poche volte il cervello sta nel loro modo di fare, ma che il PD attuale faccia ancora peggio, dileggiando Virginia Raggi anche quando difende il verde pubblico, illumina la città, realizza il progetto del raddoppio dell’acquedotto del Peschiera che garantirà ai romani acqua in abbondanza per i prossimi duecento anni, asfalta le strade, crea luoghi di aggregazione in città, rilancia ATAC e difende l’azienda pubblica, combatte la criminalità e per questo vive sotto scorta, dimostra come il Partito Democratico si sia colpevolmente allontanato dai principi che proclamava.

Ecco, già solo per tutto questo saremmo noi del Movimento 5 Stelle a dovergli negare la possibilità di dialogo. Ma sappiamo essere pazienti e lungimiranti e registriamo che la nostra comunità ha votato per aprirsi ad accordi con forze politiche e civiche per far affermare i nostri progetti. Tra queste forze vi è anche il Partito Democratico.

Ma si è chiesto il Partito Democratico perché Luigi Petroselli è lo spartiacque tra quanto accaduto con la sua presenza e quanto poi si verificherà nei venti anni di governo della sinistra? Con questo il Partito Democratico non ha mai fatto i conti, non si è mai messo in discussione, non ha mai cercato e voluto interrogarsi. Ci sarà un motivo per il quale Roma era diventata il ventre molle per affaristi e per gli affari illeciti, per le prepotenze e per le appropriazioni di beni pubblici. Ci sarà un motivo se Roma si è mostrata essere la città del malaffare e del compromesso, la città dei Casamonica ai quali tutto era permesso, la città dei Fasciani e degli Spada, dei Buzzi e dei Carminati da tanti rinnegati, la città del degrado morale e di quel puzzo di illegalità sempre più annusato in questi anni dai cittadini romani grazie all’opera del Movimento5Stelle che ha avuto il coraggio e la determinazione di spalancare porte e finestre.

I dirigenti locali del Partito Democratico, che tanto per dire sono i figli legittimi della stagione del compromesso storico, sembrano oggi avere le orecchie foderate di prosciutto e gli occhi coperti da due fette di salame. Toglietevi quella tunica da tribuni e provate ad ascoltare la voce della vostra coscienza, se ne siete capaci.

Provate a trovare il coraggio di valutare cosa è accaduto dopo la sindacatura di Luigi Petroselli. In venti anni avete espresso tre sindaci e siete riusciti a dare a Roma tre commissari, che è un record mondiale. Avete distrutto il lavoro di Petroselli prendendo in prestito dai Verdi Francesco Rutelli, che si ricorda non solo per aver avviato il disastro e la compromissione della macchina amministrativa, ma anche e soprattutto per il suo impegno di fare, costi quel che costi, la città dello sport sui terreni di Tor Vergata nel progetto delle Olimpiadi del 2004, assegnate poi ad Atene. Ma detto fatto, porteranno a compimento il lavoro il sindaco Veltroni e il suo assessore Morassut: parlo della città dello sport più nota come le “Vele di Calatrava” con gara vinta dalla Vianini del gruppo Caltagirone. Per l’opera era previsto un costo di 60 milioni di euro, che sotto il controllo di Bertolaso salì a 240 milioni. Il bello della storia è che l’opera figlia di tante e tali intelligenze non fu completata in tempo per lo svolgimento dei mondiali di nuoto, che si tennero nella preesistente struttura del Foro Italico. Il terzo sindaco dell’epopea del Partito Democratico, Ignazio Marino, abbandona l’idea delle aree di Tor Vergata e purtroppo per lui i giornali romani lo bombardano con il parcheggio non corretto della famosa panda rossa parcheggiata male. Il PD si schiera contro il sindaco che ha eletto e lo caccia con atto notarile.

In quanto ad Alemanno provò ad immaginare la città dello Sport sui terreni sbagliati di Tor di Quinto e a stopparlo ci pensò il Presidente del Consiglio Mario Monti. È La Repubblica di qualche settimana fa a ricordarci che il Governo è al lavoro per recuperare il relitto ideato per i Mondiali di nuoto “Un reticolo bianco abbandonato nella campagna di Tor Vergata. Ferro tanto quanto ne è servito per realizzare la Tour Eiffel”. Il Partito Democratico ha la responsabilità di non aver capito prima e fronteggiato poi il prezzo da pagare ad un liberismo del quale Roma non ha bisogno, del quale il Paese non ha bisogno, perché ha reso i ricchi più ricchi e i poveri sempre più ai margini della società.

Per lo sfacelo morale secondo il quale il privato è, a prescindere, migliore del pubblico, dobbiamo ringraziare Goffredo Bettini, che ha sempre guardato più ai rapporti con le grandi imprese che alle esigenze delle periferie, facendo perdere di vista al Partito Democratico il grande valore dell’inclusione, della Roma che accoglie, della Roma che chiede e dona rispetto. Ed ora si permette di pontificare contro Virginia Raggi e di urlare che il Partito Democratico dice NO e il Movimento5Stelle deve farsene una ragione. Goffredo Bettini se sta lavorando alla successione di Nicola Zingaretti non strumentalizzi le elezioni romane, perché sono proprio lui e il suo figlio adottivo Rutelli le persone che hanno condannato Roma all’inerzia, che hanno condannato Roma alle mancette del Governo e ai bilanci sempre più in rosso. Sono quelli che non hanno prodotto alcuna progettualità all’altezza della capitale del Paese, se non l’eredità delle “Vele di Calatrava” fortissimamente volute sui terreni di Tor Vergata. Il liberismo di Goffedo Bettini e di Francesco Rutelli ha aperto la via al pensiero che tutto ciò che è privato è più funzionante e funzionale del pubblico. Che è esattamente il contrario di ciò che pensava Luigi Petroselli e che pensiamo anche noi del Movimento5Stelle alla guida oggi di Roma: perché difendere e valorizzare il pubblico e la pubblica utilità è una missione della politica. Chiediamoci perché Roma è finita ostaggio dei proprietari di grandi aree da urbanizzare, di editori con pluriattività industriali e dei debiti contratti dal Comune. Chiediamoci se ciò è da mettere in relazione al diffondersi delle clientele e delle corruttele, dei bandi di gara un tanto al chilo, della macchina amministrativa azzerata e delle propaggini mafiose arrivate sino al Campidoglio.

Per carità di patria ometto di dire cosa è accaduto con la sindacatura di Alemanno, la peggiore dal 1870, ma vedere il centrodestra e il centrosinistra per quattro anni uniti a bombardare Virginia Raggi, a partire guarda caso dal NO alle Olimpiadi, mi convince sempre di più che la cosa migliore per i romani, di qualsiasi fede politica, è ridarle la fiducia. Se poi il Partito Democratico vuole consegnare le chiavi della città a Giorgia Meloni e al Longobardo Matteo Salvini si accomodi pure e si condanni a venti anni di opposizione non a Roma, ma in Italia.

*Capogruppo del Movimento 5 Stelle in Assemblea Capitolina e Consigliere delegato dell’Area Metropolitana di Roma

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