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Roma
"Roma è condannata dalla sua lentezza" Cremonesi: "Cambiamo testa e regole"

di Fabio Carosi


Avvocato Cremonesi, Roma uscirà dalla crisi?
"Solo se troverà la formula per salvare un'intera generazione di giovani dal "non lavoro" e se troverà le risorse economiche per garantire sviluppo e crescita. E guardi che ci sono ma nessuno le vuole vedere".

Scusi ma lei si candida a sindaco di Roma?
"Ahahah ringrazio gli amici del Partito Liberale che ha annoverato tra le sua fila personaggi illustri, ma non è nelle mie corde. Semmai sono disponibile a dare una mano ad una coalizione civica, chiaramente di centrodestra".
Sorride Giancarlo Cremonesi. Sessantanove anni, ora al vertice della società di intelligence digitale delle Camere di Comercio (Infocamere), avvocato, nel curriculum cda di imprese pubbliche e private, nel 2010 presidente di Camera di Commercio e poi di Acea ma ancor prima alla guida del "sindacato" dei costruttori romani, alcuni veri imprenditori, altri palazzinari con le mani nel sacco di Roma. "Volpe" per anni tra "pecore" e lupi, ha attraversato la storia della città da osservatori privilegiati e amicizie in quelli che una volta erano chiamati poteri forti e che oggi "non esistono più credetemi".

Allora, parliamo di politica?
"Parliamo di Roma, la prego. La situazione è drammatica e, tranne rare eccezioni, non vedo nei programmi che ho sentito in giro e che non ho ancora approfondito, un progetto reale, attuabile, come quello di cambiare testa e regole".

Emergenze?
"Lavoro, lavoro e poi lavoro. E poi soldi per tenere in piedi un sistema di welfare che sappia dare risposte all'emergenza sociale".

Lavoro, come?
"Rimettendo in piedi i due volani storici della città: l'edilizia e il commercio. In contemporanea bisogna ripensare il modello di città".

Al primo posto l'edilizia... il vizio del cemento non muore mai, vero?
"Ma quale cemento e cemento.. Si può anche ristrutturare, togliere il vecchio e rifarlo da capo. In questa città sono tutti convinti che se c'è un cinema deve rimanere per sempre. All'estero realizzano multisala quando c'è richiesta; se poi non funziona più l'area viene riconvertita in altre cose che funzionano. Roma invece è immobile".

Domanda perfida. Ma lei vuole rimettere in moto la macchina dell'edilizia quando i costruttori romani neanche ritirano le licenze perché non hanno soldi... Le pare normale?
"Nota dolente e reale perché è vero che il mattone non brilla e le banche soffrono, ma basterebbe creare un patto per lo sviluppo tra Comune, istituti del credito e imprenditori per diluire il peso degli oneri concessori o a rate o con fidejussioni e liberare così risorse. Vale anche per le ristrutturazioni: si cambia destinazione d'uso e l'immobile torna ad avere valore e a creare lavoro".

Torniamo ai soldi. Il Comune ha le casse vuote e senza denaro non c'è sviluppo.
"E' vero, non c'è un euro in cassa ma è altrettanto vero che il Comune ha in mano un patrimonio di terreni che può finanziare tutto il resto. E non si chiama "speculazione" ma valorizzazione. Basta fare una piccola variante al Prg che gente come Morassut ha disegnato sulle proprietà dei terreni invece che sul progetto di città, ed ecco che la ricchezza torna indietro al pubblico".

E ci risiamo coi grattacieli, magari ripartiamo dalla stupidaggine di Alemanno di buttare giù Tor Bella Monaca e di costruire una seconda città...
"Niente di tutto questo. Le spiego, così capisce. Immagini di avere un Comune che decide di attirare capitali predisponendo un progetto che permetta a chi vuole aprire nuove imprese del settore digitale. Ecco, il terreno ce l'ha e lo deve valorizzare così incassa liquidità. Poi costruisce un accordo secondo il quale le società dei servizi predispongono piani per luce, gas, acqua, connettività e trasporti. Quindi dà certezze sui tempi e sulle pratiche burocratiche. In meno di 6 mesi un terreno agricolo raddoppia il valore e mette in moto un'economia sana, mettendo a disposizione di chi vuole investire nel nostro paese, certezze e tempi. Con questa filosofia possiamo fare concorrenza a tutti. Invece da noi il Comune per una pratica ci mette anni, la Regione chiede 12-24 mesi per la valutazione di impatto ambientale, poi ci sono le conferenze dei servizi, quindi basta un comitato e va tutto all'aria".

E' il bello della democrazia partecipata...
"Mi faccia il piacere. A Fregene ci sono tre cartelli che la dicono lunga sul nostro sistema Paese. Uno dice "No all'aeroporto", l'altro "No all'inceneritore" e il terzo "No alla discarica". Sono vecchi e nessuno li toglie ma sono la fotografia di un modo di pensare. Lo stesso "sistema" che poi ci costringe a mandare i rifiuti all'estero e a contribuire all'economia degli altri. Noi paghiamo e loro incassano".

Lei ha detto che stiamo uccidendo un'intera generazione. Che significa e come salvarli?
"E' il non lavoro, la disoccupazione il vero dramma. Migliaia di ragazzi che arriveranno ai 40 anni senza aver mai lavorato e che pesano sulle spalle dei genitori. Basterebbe sbloccare "la scala" trovare un modo per mandare volontariamente in pensione anticipata chi vuole e può rinunciare a un pezzo della pensione per qualche anno e assumere i figli. Senza lavoro non c'è dignità. Si può fare".

Ma c'è il Job Act per questo...
"Sì, è arrivato in piena crisi economica e ha dato una mano a trasformare i tempi determinati in indeterminati. Ma non basta e non basterà. Che ci fa un imprenditore con 3 mila euro di sgravi se poi deve chiudere perché non c'è mercato? E' un palliativo che non funziona. Ripeto, dobbiamo cambiare testa e diventare veloci e affidabili per chi vuole investire nella nostra città. Gli enti devono impiegare 3 mesi per studiare un progetto, 3 mesi per approvarlo e deciderlo e poi se c'è il via libera devono essere partner di chi vuole investire, come se fossero soci. Allora vedrà che le multinazionali faranno a gare per venire a Roma. E sarà ricchezza. Diversamente siamo condannati".

Roma è condannata?
"Se non impara a correre sì".

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