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Roma
Rutelli-Veltroni e il Pd mali di Roma. Alemanno, confessione in 200 pagine

di Patrizio J. Macci


Duecento pagine fitte di date, analisi, riferimenti, nomi e ricostruzioni dei cinque anni da sindaco della Capitale, nelle quali viene ripetuto come un mantra l'affermazione che il teorema "fascio-mafioso" che ha portato alla sua incriminazione, e che ha spazzato via la destra che lo ha condotto in Campidoglio tra due ali di popolo con il saluto romano, è una costruzione mediatica: "Io Carminati non l'ho mai incontrato personalmente, anzi apparteniamo a due settori della destra che si guardavano in cagnesco. Noi eravamo missini, ci giudicavano traditori, loro erano extraparlamentari. Se avessero potuto ci avrebbero bastonato".
È il libro scritto da Gianni Alemanno "Verità capitale - Caste e segreti di Roma" (Koinè edizioni), mentre il processo "Mafia Capitale" che lo vede coinvolto (ma il sospetto di mafia per quanto lo riguarda è caduto) è in pieno svolgimento. Il volume si apre con la giornata nera della sua esperienza, il 2 dicembre 2014 alle 8 del mattino quando gli viene notificato, da due militari intimoriti che continuano a chiamarlo "sindaco" anche se non lo è più da mesi, un avviso di garanzia per l'articolo 416 bis. Alemanno cade letteralmente dalle nuvole (non riconosce l'articolo del codice penale) e chiede spiegazione ai carabinieri che lo illuminano sulla gravità dell'accusa.
La consegna dell'atto avviene a telecamere accese con la squadra degli operatori di una nota trasmissione pronte a immortalare l'evento, secondo Alemanno è la saldatura di un teorema pubblicistico gonfiato da decine di pagine di giornali, libri, trasmissioni televisive e film.
"La verità è ben diversa", sostiene Alemanno, il quale ammette di aver commesso diversi errori, ma non quelli che gli vengono contestati in sede giudiziaria. Alcuni dei soggetti arrestati in "Mafia Capitale", avevano il bollino di garanzia di alcuni esponenti del Partito Democratico, l'errore dell'ex sindaco sarebbe stato quindi quello di fidarsi praticamente ad occhi chiusi dei propri collaboratori. "Poi mi hanno abbandonato al linciaggio dei media", come un capro espiatorio.
Diversa la sorte che hanno avuto gli esponenti del PD sfiorati dall'inchiesta, Veltroni che aveva lavorato con Odevaine, praticamente ne esce immacolato. Addirittura viene fatto il suo nome come candidato al Quirinale. Zingaretti viene definito "il saponetta", per la sua capacità di schivare le questioni più gravi e sgusciare senza riportare alcun danno, uscendone sempre indenne.
I mali di Roma invece vengono da lontano, da Veltroni e ancor prima da Rutelli, la sinistra è stata sempre brava a nascondere la polvere sotto il tappeto senza farsi scoprire sostiene Alemanno.
La corruzione è "endemica" sostiene l'ex sindaco nella sua lunga digressione, e la crisi economica l'ha accentuata. I consiglieri comunali e i funzionari lavorano al limite delle loro possibilità di mantenimento in una città costosa come Roma. Chi non verrebbe tentato, vedendo scorrere sotto i propri occhi delibere e stanziamenti per centinaia di migliaia di Euro ogni giorno?
Alemanno ne approfitta per togliersi qualche macigno dalle scarpe, dedicando il libro a chi gli è rimasto vicino e a chi gli ha voltato le spalle facendo nomi e cognomi di camerati che si sono liquefatti dopo la sua caduta in disgrazia. L'indice dei nomi soddisfa i curiosi: alcuni soggetti subiscono la dannazione della memoria, e non sono mai citati nella narrazione nonostante abbiano avuto un rilievo non indifferente nelle vicende di cui si parla.
A prescindere dagli esiti del processo che lo vede coinvolto, il libro appare come un "canto del cigno" di una destra romana che non esiste più e che -come fa Alemanno nella parte propositiva del volume per aiutare il sindaco che verrà-, ha bisogno di citare un intellettuale agli antipodi del proprio pensare politico per tessere le lodi della forma partito: Antonio Gramsci.

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