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Roma
Salvini e Meloni, il modello Milano anche per Roma, L'M5S dice “No grazie”

di Giuliano Pacetti *

Sembra quasi di infierire su un pugile suonato: sui camici non si contano più le sue ricostruzioni e i non sapevo diventano “sapevo che non sapevo”. E poi quelle dimenticanze sul tesoretto di 5,3 milioni di euro, che dalle Bahamas sono transitati in Svizzera. Ci fa sapere Attilio Fontana che i suoi genitori hanno costruito con onestà il tesoretto giacente alle Bahamas. Per carità, il problema non sono i genitori, ma il figlio.

È accaduto che nel 2016 Attilio Fontana, quando era Sindaco di Varese, omise di dichiarare nel suo stato patrimoniale i 4,4 milioni di euro che aveva scudato trasferendoli dai due trust di Nassau presso l’Unione Banche Svizzere. Non sappiamo se fu un vuoto di memoria, ma nel 2017 per questo fu sanzionato dall’Autorità Nazionale Anti Corruzione.

Lascia senza parole venire a conoscenza che quell’appalto al cognato di Attilio Fontana non fosse poi così indispensabile, come fa sapere il dg della Centrale acquisti di Regione Lombardia. La storia dei camici inizia proprio con la visita della Guardia di Finanza agli uffici della Centrale acquisti di Regione Lombardia, dove si dimette il dg Filippo Buongiovanni, dopo essere stato accertato che la società Dama, del cognato del Presidente Fontana, non aveva sottoscritto la dichiarazione di non trovarsi in conflitto di interesse per la fornitura dei camici. Poi, a seguito di un’inchiesta della trasmissione Report, ci si adopera per tramutare la vendita di camici e set sanitari in donazione, ancora non perfezionata. Proteggere la reputazione ha però un costo e Attilio Fontana per ammortizzare il mancato profitto prova a bonificare 250mila euro alla società del cognato. Essendo la causale debole, l’operazione viene segnalata come sospetta alla Banca d’Italia, che la trasmette alla Guardia di Finanza. E mentre le indagini seguono il loro corso, Attilio Fontana come l’ultimo giapponesino continua a difendere quello che su un piano politico è indifendibile: la sua poltrona.

Nulla di nuovo, purtroppo. La Lombardia del centrodestra ci ha abituati a 25 anni di disastri: Roberto Formigoni, arrestato per corruzione, e Roberto Maroni, condannato per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente. Al confronto, Attilio Fontana è un dilettante allo sbaraglio.

Anche relativamente alla gestione dell’emergenza Covid-19 in Lombardia, parlare di mero caos iniziale dovuto ad un evento inaspettato sarebbe troppo riduttivo. E se invece ci chiedessimo quale era la situazione del nostro sistema sanitario all’affacciarsi del virus? La stessa Lombardia, che era considerata un’eccellenza per la sua sanità, oggi è sotto accusa per la carenza dei servizi sanitari territoriali fortemente ridimensionati.

Fino al giorno prima dell’emergenza, i media informavano di come fosse complicato perfino l’accesso al Pronto Soccorso e documentavamo le famigerate liste d’attesa. Già prima del Covid-19, oltre 10 milioni di cittadini rinunciavano alle cure. Molti di questi vivevano in un indecoroso stato di povertà. Quindi, più che parlare di caos iniziale, dovremmo ragionare sui molti segnali arrivati e non colti, colpevolmente sottovalutati. Agli esperti abbiamo affidato la nostra vita e quella dei nostri cari. Abbiamo affidato alle loro indicazioni anche la vita dell’intero paese, quella economica ed amministrativa, ma anche la vita vera, quella personale. Alla politica abbiamo affidato le scelte di indirizzo e quella lombarda si è distinta per carenze e sottovalutazioni.

Rileggere gli accadimenti ci aiuta a comprendere meglio l’inadeguatezza di un modello di salute e ambientale che grida vendetta.

L’OMS il 9 gennaio avverte il mondo della trasmissione da contagio da uomo a uomo. E sono già diversi giorni che il Covid-19 circola in Vietnam, in Malesia, a Singapore e in molti altri Stati, persino negli Stati Uniti.

Il 22 gennaio i Cinesi mettono in isolamento Wuhan e i suoi oltre 55 milioni di cittadini e in quel momento in Francia, a Bordeaux, era già stato accertato il primo caso di Covid-19.

Poi tocca all’Italia. Una comitiva di Cinesi per 8 giorni gira tranquillamente per l’Italia, fino a quando il 29 gennaio viene registrato il caso della coppia positiva al virus, poi ricoverata allo Spallanzani di Roma e dimessa il 20 aprile, dopo 83 giorni di degenza. Altro che segnali!

E passeranno ancora 3 settimane prima che emergano i focolai di contagio a Vo’ Euganeo ed a Codogno, il paese più inquinato d’Europa secondo le stime di Gennaio-Febbraio 2020. Ambiente e salute potrebbero forse avere un loro collegamento. Al riguardo non va sottaciuta l’epidemia di polmonite da legionella che ha colpito nel 2018 la bassa bresciana: 878 ricoveri e decine di decessi. E ancora, nel 2019 il focolaio da meningococco C nella bergamasca e la conseguente campagna vaccinale. E la Lombardia, da un punto di vista ambientale può essere considerata la Regione più sottosviluppata dell’intero nostro Paese. Penso, ad esempio, agli allevamenti intensivi, che sono in Lombardia delle vere e proprie bombe ecologiche: le deiezioni dei 6 milioni di maiali allevati in Lombardia, la metà dell’intero allevamento nazionale, rappresentano un rifiuto che va ad inquinare i corsi d’acqua e l’aria per l’elevata dispersione di CO2 e di altre sostanze inquinanti. È bene ricordare che sono in corso nei confronti della Lombardia due procedure di infrazione europee per polveri sottili ed ossido di azoto ed una per l’inquinamento delle falde acquifere contagiate da pesticidi.

Relativamente all’emergenza Covid-19, la domanda che dovremmo porci è questa: poteva essere gestito meglio lo Tsunami che ha colpito la Lombardia? Sì, poteva sicuramente essere gestito meglio.

Bisogna premettere che medici, infermieri e personale di supporto hanno fatto tutto quello che era nelle loro possibilità. Non è in discussione il loro operato. A medici ed infermieri è stato chiesto di svuotare l’Oceano con un secchiello, anzi a mani nude.

L’accento, quindi, deve essere messo su un altro fatto: la classe politica lombarda si è lasciata eccessivamente distrarre dalla gestione dei posti letto e delle terapie intensive. Abbiamo letto sui giornali del fallimento dell’operazione “Padiglione Covid di Milano”. Questo fatto è emblematico del disagio da prestazione della politica lombarda: 21 milioni di euro, 12 pazienti. Non per i dodici pazienti, ma per tutto quello che è ruotato intorno. A partire dalla sfiga di Bertolaso, che dopo tre giorni era già sotto Covid.

La verità è che il Presidente Attilio Fontana e la sua Giunta si sono lasciati accecare da quanto gli accadeva intorno. Hanno perso la bussola e poi, illogicamente, si sono chiusi nel recinto della Lombardia. E con distinzioni continue: “perché noi lombardi …”, “perché la Lombardia …”. Nella sua visione miope, Attilio Fontana ignora che di ospedali con eccellenze ce ne sono in tutta Italia. È superfluo elencarle.

Molte cose che si potevano fare non sono state fatte. La classe politica lombarda non si è resa conto che la Lombardia era oggetto di un doppio attacco epidemico. La squadra lombarda guardava alla Cina, ma lo tsunami arrivava dalla Germania.

Poi, con l’esplosione del contagio la Lombardia si trova sotto pressione e di questo ne siamo consci. Ora la magistratura sta indagando per capire se siano state adottate tutte le accortezze del caso. Ma il giudizio politico può già essere espresso. E lo hanno già espresso i cittadini lombardi.

La magistratura, intanto, cercherà di chiarire se la direzione di marcia impressa da Attilio Fontana abbia contribuito a consegnare così tante persone al plotone di esecuzione di un ospite non gradito come il Covid-19. Penso alla gestione del personale sanitario e delle case di riposo.

Ed ora Giorgia Meloni e Matteo Salvini vorrebbero esportare a Roma il “modello lombardo” con i suoi 25 anni di fallimenti e disastri? No, grazie!

* Capogruppo M5S Comune di Roma

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