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Roma
Trasporti Roma, la rivoluzione della Raggi: “Così il M5S ha salvato l'Atac”

di Giuliano Pacetti *

Questi ultimi giorni sono stati densi di novità per la mobilità romana. Sono iniziate le consegne dei 328 nuovi autobus, che a brevissimo vedremo circolare sulle strade di Roma, in aggiunta ai 227 dello scorso anno.

Proprio lunedì Virginia Raggi si è recata presso lo stabilimento di Industria Italiana Autobus, in provincia di Avellino, per vedere i nuovi arrivi e per consegnare all’Azienda costruttrice un nuovo ordine di altri 62 autobus, che consentiranno un ulteriore ringiovanimento di una flotta ereditata in età da pensionamento e non all’altezza di una grande capitale Europea. E non finisce mica qui: a brevissimo partirà l’ordinativo per altri 20 autobus snodati, mentre da gennaio 2021 ci saranno le consegne di ulteriori 100 autobus ibridi. E poi dai prossimi mesi Atac assumerà 330 autisti e 82 operai. Questi risultati, impensabili fino al nostro insediamento, sono stati raggiunti grazie ad un costante lavoro di squadra e alla barra dritta tenuta con fermezza dalla nostra amministrazione.

Al nostro arrivo in Campidoglio nel 2016 ci siamo subito resi conto della evidente miopia gestionale, tecnica ed economica di ATAC, falcidiata da decisioni di una classe dirigente e politica assolutamente inadeguata. Tutto era fuori controllo, dalla gestione dei pneumatici alle operazioni di rimessaggio, dal rifornimento dei bus all’interno dei depositi alla manutenzione dei veicoli di superficie, dal recupero dei veicoli in panne durante l’esercizio alla gestione di mezzi e infrastrutture. Per non parlare della presenza di distacchi di dirigenti da altre aziende di trasporto a scapito della tutela del know-how industriale ed in generale dei dati aziendali sensibili. 

Senza tanti giri di parole prendemmo coscienza che avevamo nella disponibilità 1.920 vetture, di queste circa il 45% aveva superato la vita tecnica e dovevano essere alienato, 700 mezzi andavano sottoposti a revisione generale data la vetustà e le particolari sollecitazioni indotte dall’assetto viario di Roma, e solo circa 400 mezzi potevano dirsi abili ed arruolati al servizio di trasporto dei cittadini romani.  

Aggiungiamo a questo che le difficoltà economiche e finanziarie avevano provocato mancate forniture di ricambi e/o ritardi di consegna, con conseguente erosione delle scorte tecniche. Ciò si era tradotto in magazzini vuoti e mezzi cannibalizzati e usati come pronto soccorso per permettere ai mezzi della flotta (autobus, tram e treni) di uscire per garantire un minimo di servizio. Il “buffo” lasciato dagli esperti per non avere nulla in cambio ammontava a 1,3 miliardi di euro. Dire che chi ci aveva preceduto aveva calpestato e violentato il diritto alla mobilità dei cittadini romani, è dire poco.

In un mio intervento in Aula del settembre 2017 dissi che a valle di tutte le lunghe analisi sussistevano ancora - e nonostante tutto - le condizioni per dare ai romani un’ATAC risanata, funzionale e ancora pubblica. C’erano infatti elementi che ci dicevano che la storia dell’Azienda poteva essere riscritta, ma occorreva lavorare intorno ad un Piano Industriale che non fosse solo progetto di miglioramento dei numeri, ma anche sviluppo di risorse, qualità, innovazione e soddisfazione dell’azionista. Il centrodestra, insieme ai radicali e con Roberto Giachetti in testa, chiedeva la privatizzazione di Atac e il loro tecnico di riferimento profetizzava almeno 2.000 licenziamenti. Questo lo scenario: da una parte noi del Movimento 5 Stelle e le nostre ambizioni di risanare e rilanciare Atac e dall’altra tutto il coro di quelli che ci urlavano di essere degli incapaci perché il concordato in continuità non sarebbe mai passato al vaglio del Tribunale. 

Ma vediamo in concreto a chi fanno capo le responsabilità per aver reso agonizzante la più grande azienda di trasporto pubblico locale d’Europa.  

Prima della costituzione di ATAC azienda unica, funzionava il cosiddetto “Modello Romano” della mobilità. Tale modello avrebbe dovuto anticipare il meccanismo di “concorrenza regolata”, che doveva assicurare l’equilibrio tra la funzione pubblica e il libero mercato. L’esperienza del modello romano, ideata e sostenuta da Francesco Rutelli e Walter Veltroni, fu però fallimentare. E non solo perché non fu effettuato un esercizio complessivo basato sulla razionalizzazione dei costi e della gestione, ma anche perché diede origine ad un sistema di mobilità basato su ciò che restava del consorzio METREBUS, in un contesto generale dove non fu mai portata a termine l'integrazione tariffaria. Il “Modello Romano” del Partito Democratico lasciò l’allora Agenzia (ATAC) fortemente indebitata.

Ma il trasporto pubblico andò in agonia con Gianni Alemanno sindaco. Alemanno recuperò il modello ante Veltroni/Rutelli facendo rinascere l’Azienda unica, derivata dalla fusione di ATAC con TRAMBUS, MET.RO e STA. Un’unica protagonista del trasporto locale, con competenze anche sulla mobilità privata e sulla sosta. Quella di Alemanno fu una manovra gestita così male che ancora oggi se ne risentono le negative conseguenze. Le scelte del Sindaco Alemanno segnarono l’inizio del periodo più buio della storia del sistema del trasporto pubblico italiano e in particolare del dramma che metteva a repentaglio la vita di ATAC e dei suoi servizi, dei lavoratori e delle loro famiglie. In quel periodo peggiorarono tutte le performance economiche, finanziarie, produttive e operative, fino ad arrivare alla devastata situazione che ereditò la nostra amministrazione: perdite complessive per più di 1,0 miliardi di Euro, un indebitamento fino a 1,7 miliardi di Euro, una contrazione del Valore della Produzione fino ad oltre il 20%. Ci furono extra costi per circa 700 milioni di Euro ed una rilevante contrazione delle percorrenze. Senza considerare la contestuale riduzione quantitativa delle vendite dei titoli di viaggio. Furono anni quelli della sindacatura Alemanno, e del centrodestra in Campidoglio, nei quali gli atti amministrativi di ATAC furono sottratti al controllo diretto del Consiglio Comunale. Anni nei quali fu permesso di fare assunzioni clientelari, e anni nei quali ATAC fu oggetto di corruzione politico-amministrativa. Gli anni di Alemanno sindaco e della destra in Campidoglio li ricorderemo non solo per i disastri di ATAC, ma anche per lo scandalo dei biglietti clonati, della Parentopoli, degli appalti gonfiati e delle tragiche ricadute sul servizio erogato alla città.

I conti di un’ATAC fuori controllo furono ereditati da Ignazio Marino, che si ricorda per una consiliatura che fu archiviata dagli stessi che lo avevano eletto e che portò al commissariamento del Campidoglio. Il sindaco Marino lasciò in eredità al commissario Tronca un indebitamento ATAC di 1,35 miliardi di Euro. Nel periodo commissariale l’emorragia dal punto di vista operativo e produttivo non si fermò, tant’è che percorrenze e Valore della Produzione continuarono a contrarsi. Il commissariamento di ROMA CAPITALE portò all’ennesimo cambiamento al vertice di ATAC.

Dal 2008 al nostro arrivo, ATAC cambiò 4 Presidenti (Tabacchiera, Legnani, Carbonetti e Grappelli), 1 Amministratore Unico (Brandolese), 7 Amministratori Delegati (Gabbuti, Tabacchiera, Bertucci, Basile, Tosti, Diacetti e Broggi) e 2 Direttori Generali (Cassano e Rettighieri).

Davanti ad una situazione disperata, abbiamo dovuto morderci la lingua per non rispondere ai ragli di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, veri asini a voto zero in tema di mobilità; ma alla coppia più straparlante del mondo bastava logorare e dividersi le spoglie di Forza Italia e suonare la grancassa del “Virginia Raggi a casa”. Come Movimento 5 Stelle ci siamo guardati negli occhi ed abbiamo deciso di comune accordo di scommettere sul miracolo del salvataggio e del rilancio di ATAC, oltre che sulla difesa dei posti di lavoro.

Di fronte ad una storia così drammatica, dove dal 2009 al 2015 ATAC ha ricevuto in media oltre 700 milioni di Euro all’anno di risorse pubbliche derivanti da contratti di servizio, che non sono stati utilizzati per fare investimenti, ma per aumentare una spesa corrente largamente improduttiva, occorreva invertire la rotta e tracciare la strada per il risanamento e il rilancio. Davanti ad una Azienda che ha chiuso ogni anno il bilancio in profondo rosso ed ha accumulato debiti per 1,3 miliardi di Euro, l’unica possibilità era il concordato preventivo in continuità. L’Amministrazione Raggi ha dovuto convincere il tribunale ed i creditori della concreta possibilità di una ristrutturazione del debito commerciale e finanziario, tramite un piano aziendale di risanamento che potesse garantire ritorni e sostenibilità in un orizzonte temporale non troppo lungo.

La scelta ha dato ragione al Movimento 5 Stelle: nel giugno 2020 ATAC, dopo due bilanci chiusi in utile, ha effettuato il pagamento di 111 milioni di euro ai creditori privilegiati, come previsto dal piano di concordato e nonostante avesse la possibilità di rinvio del pagamento, come previsto dalla normativa collegata al CoViD-19.

Ora per ATAC la sfida è quella di migliorare la propria organizzazione ed i servizi offerti alla cittadinanza.

* Giuliano Pacetti, Capogruppo del Movimento 5 Stelle in Assemblea Capitolina e Consigliere delegato dell’Area Metropolitana di Roma

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