"Femminicidio? Nessuno uccide una donna perché è donna". Intervista ad Annamaria Bernardini De Pace

"Femminicidio? Non sopporto questa parola. Nessuno uccide una donna perché è una donna". Scegliere il termine giusto, alle volte, non è questione di vezzi linguistici. Su questo punto, l'avvocato Annamaria Bernardini De Pace, tra i maggiori esperti italiani in diritto di famiglia, è irremovibile: "Ugualmente, non bisognerebbe usare espressioni come "ha ucciso accecato dalla gelosia": così si rischia di tornare al delitto d'onore. Che per anni, per gli uomini, ha rappresentato una giustificazione".
Ospite della rassegna letteraria Ponza d'Autore, nella serata dedicata al tema degli "assassini in famiglia", Bernardini De Pace si è detta assolutamente favorevole a qualunque forma di denuncia, anche via Facebook. Una questione divenuta di estrema attualità dopo la pubblicazione sul web delle foto di Anna Laura Millacci - ex compagna di Massimo Di Cataldo - con il volto insanguinato.
La denuncia sui social non rappresenta una sconfitta per le istituzioni? Sì, perché le istituzioni sono lente, aride, incapaci e inadeguate.
Ma sono loro a dover fare il processo...
Certo. Ma se si è in buona fede, bisogna utilizzare ogni mezzo possibile per denunciare. Se sei in buona fede ti salvi, se sei in mala fede ti distruggi.
Un impatto mediatico così forte non mette a rischio il diritto alla presunzione d'innocenza?
Che garantismo dovrebbe esserci per un uomo che ha picchiato? Il garantismo, in Italia, serve più a proteggere i colpevoli: in questo Paese il debitore è più tutelato del creditore. Se poi, chiaramente, la persona accusata è innocente, anche in questo caso bisogna intervenire: anche la diffamazione è una forma di violenza.
Cosa fare, quindi, se si subisce violenza?
Per prima cosa scappare di casa, portare via i bambini, rifugiarsi dove possibile, avvisare carabinieri e 1522, il telefono rosa. E occorre farlo al primo schiaffo: le persone, spesso, non sanno che già questo è un reato. È importante, quindi, informare e informarsi. E salvare i bambini, che anche quando non subiscono la violenza fisica subiscono quella assistita. Bisogna interrompere la catena parentale della violenza.
Perché molte donne non lo fanno?
Chi subisce senza reagire è perché non si fida dello Stato, ha paura del violento, si vergogna della società. Uno Stato inefficiente non aiuta, al contrario aggrava le situazioni.
Come punire i colpevoli? Nel momento in cui viene accertata la violenza, chi l'ha compiuta dovrebbe essere detenuto in un istituto per guarire. Chi violenta ha un male dentro di sé: non sente la propria anima e ha bisogno di sentire quella di un altro, attraverso il suo dolore. La pena, in ogni caso, non è mai una vendetta. Se fosse così, dovrebbe essere molto più severa. Il principio alla base è quello della redenzione: la pena è proporzionata al tempo necessario per redimere il violento. La verità, però, è che poi le terapie di redenzione non trovano applicazione.
Quello di Anna Laura Millacci è un gesto che potrebbe essere emulato anche da chi non ha un compagno famoso? Sì. Forse l'attenzione sarebbe diversa, ma l'indignazione non cambierebbe, sarebbe la stessa. Sono contraria al principio, tipicamente italiano, che i panni sporchi si lavano in famiglia. I panni sporchi si devono esporre al pubblico.
Giulia Carrarini
Francesco Giambertone