Culture

Il Mea Culpa di Santiago Sierra al Pac: arte come realtà totale

 

Milano (askanews) - Un terreno impervio, nel quale ogni movimento implica delle prese di coscienza a volte dolorose. L'arte di Santiago Sierra, spagnolo cinquantenne giramondo e con un passato messicano, è portatrice tanto di un forte dissenso quanto della necessità di esprimere quella "cupa verità" intorno alla quale ruota anche la prima grande mostra antologica nel nostro Paese sul suo lavoro, che apre al Padiglione d'Arte contemporanea di Milano con la curatela di Lutz Henke e, per la parte italiana, di Diego Sileo."La sua - ci ha spiegato - è una forma d'arte prettamente devota alla realtà. La realtà in cui vive e quelle nelle quali ha lavorato sono quelle che lui racconta, che poi sono le nostre. Quindi spesso sono realtà difficili, sono realtà indebolite da quello che è il sistema economico e politico della nostra contemporaneità. Così inevitabilmente attraverso le sue opere si esprime anche una forma di giudizio".Un giudizio che è già insito nel titolo della mostra, "Mea Culpa", e che si manifesta sotto la forma delle bandiere nere dell'anarchica piantate da Sierra sia al Polo Nord sia al Polo Sud, oppure nella costruzione, e successiva e necessaria distruzione, delle lettere che compongono la parola KAPITALISM, o ancora in un grande NO, invisibile al mondo ma non alla fotografia dell'artista, sopra la testa di Papa Benedetto XVI alla Giornata mondiale della Gioventù di Madrid del 2011.E se quello che si vede al Pac, tra fotografie e video appare quasi totalmente materiale documentativo (ma nella documentazione c'è una importante fetta della postura dell'arte contemporanea), la costruzione della pratica dell'artista richiede una dedizione pressoché totale, come totali sono poi molti dei suoi lavori."Quello che noi vediamo qui - ha aggiunto Sileo - è la documentazione di azioni performative che lo portano anche addirittura ad anni interi di lavoro. Santiago Sierra si sposta nei luoghi di interesse, lavora, studia e inizia un lungo processo che può durare anche anni prima di arrivare a compimento".Il mercato, la globalizzazzione, il costo delle vite umane, lo smascheramento delle ideologie... L'opera di Santiago Sierra è spigolosa, come lo era stato il suo padiglione spagnolo alla Biennale d'Arte del 2003, accessibile solo ai suoi connazionali e con all'interno un duro attacco allo sfruttamento del lavoro, peraltro fatto pagando la donna figurante nell'opera. Insomma, Sierra denuncia, ma lo fa dall'interno del sistema, non semplificando in modo populista, ma esaltando la complessità problematica. Aspetto colto anche dall'assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno, intervenuto alla presentazione dell'esposizione. "Specificatamente la realizzazione di questa ampia mostra - ha detto dal palco - pone le nostre intelligenze e le nostre coscienze di fronte a molti temi, che sono poi di rilevante interesse per quanto riguarda la nostra quotidianità, il modo in cui viviamo le relazioni sociali, in cui discutiamo o affrontiamo il futuro della nostra comunità".Tra le molte opere forti in mostra è impossibile non citare i "21 moduli antropometrici di materia fecale umana", sculture realizzate con escrementi umani resi inerti da una lunga essicazione mescolati a una plastica agglutinante. Oppure i potenti ritratti di "Veterani di guerra con il viso rivolto contro il muro", documento sulla spersonalizzazione dei militari, che da esseri umani diventano solo numeri senza identità. Ma il lavoro di Santiago Sierra rimette, crudamente se volete, i riflettori sulla nostra disperata umanità. E i "Denti degli ultimi gitani", che aprono la mostra milanese, in fondo sono semplicemente i nostri.