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Economia
Crowdfunding al via per tutte le imprese, ma in Italia ecco cosa non funziona

 

IL CROWDFUNDING, COS'E' E COME FUNZIONA

Soldi, soldi, soldi. Il crowdfunding è un fenomeno di raccolta-fondi in rete, nato in Australia e negli Stati Uniti per finanziare progetti e persone che non vogliono o non possono accedere al prestito delle banche o a fondi pubblici. 

Negli Stati Uniti con il crowdfunding si finanzia tutto, dai sistemi anti mine all'edilizia, dai funerali ai baby sitter. Ogni buona idea può avere una possibilità. Ed il modello sta rivoluzionando i finanziamenti alle “imprese” e alle persone che nessun istituto di credito sosterrebbe. Per tutti costoro esiste l'appoggio della folla (appunto la crowd) in rete che valuta se l'idea è meritevole di sostegno.

Funziona così: un promotore lancia un’iniziativa a carattere benefico, sociale, economico o culturale e chiede al pubblico somme di denaro per sostenerlo (il funding), spiegando nel dettaglio l'idea su siti o portali dedicati.

Esistono varie tipologie di crowdfunding”, racconta l'avvocato ed esperto di settore Alessandro Maria Lerro: 

“Il modello donation, per iniziative senza scopo di lucro; il modello reward, dove in cambio di una donazione in denaro, si dà una ricompensa o un premio non monetario; il modello equity crowdfunding, che prevede la partecipazione all’impresa di investitori e la Consob ha introdotto cambiamenti importanti che vanno in vigore dall'anno prossimo”

Se la cifra richiesta per realizzare l’impresa viene raggiunta entro il tempo prestabilito, alla piattaforma di crowdfunding viene riconosciuta una percentuale intorno al 5%. Non ci sono fidejussioni o garanzie da dare: è un patto di fiducia e a volte, se l’obiettivo fissato in partenza non viene realizzato, il proponente dovrà restituire i soldi ai donatori. 

Le piattaforme (tra le più famose ci sono le americane “Kickstarter” o “Indiegogo”) hanno finanziato numerosi progetti di persone comuni. Ci sono storie di chi ha chiesto poche migliaia di euro ed ha ottenuto milioni. Una fra tutte quella dell'australiano Cedar Anderson, figlio di contadini e senza mezzi, che anni fa chiese qualche migliaia di euro sulla piattaforma “Indiegogo” per costruire arnie che permettessero di prelevare il miele senza far male alle api (che sono in via di estinzione) e raccolse più 12 milioni di dollari.  

Nel mondo il denaro versato in un anno con il crowdfunding ammonterebbe a poco meno di 40 miliardi di euro e nei Paesi anglosassoni la tassazione per le donazione è marginale. In Italia invece cambia tutto. Il cumulo delle donazioni ancora nel 2015 si aggiravano intorno ai 60 milioni di euro. Se ogni Paese applica la propria legislazione e le proprie regole fiscali qui iniziano i dolori sopratutto per noi. Il sistema Paese e i suoi legislatori si dimostrano ancora una volta inadeguati e persi tra tassazioni medievali ed idee di impresa inesistenti, minando il meccanismo alla fonte. Ma prima di vedere come e perché ecco in arrivo delle novità.

 

LE NUOVE REGOLE CONSOB SUL CROWDFUNDING IN ITALIA

Dal prossimo 3 gennaio 2018 le piccole e medie imprese italiane potranno essere finanziate tramite il sistema di equity crowdfunding, valutando se vendere sul mercato quote della propria attività. Era questa, fino a ieri, una possibilità riservata solo alle startup e alle pmi innovative (delibera Consob 29 novembre 2017 n. 20204, atto pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 289 del 12 dicembre 2017)

La raccolta dei fondi viene regolamentata con i gestori dei portali che dovranno aderire a sistemi di indennizzo a tutela degli investitori in base all’articolo 59 del TUF (Testo Unico sulla Finanza, dlgs 58/1998). Oppure, in alternativa, dovranno avere un’assicurazione per i danni derivanti al cliente, dall’esercizio dell’attività professionale. Nel dettaglio: una copertura assicurativa di 20000 euro per ciascuna richiesta di indennizzo o una copertura dal mezzo milione al milione di euro l’anno per l’importo totale delle richieste di indennizzo.

Questa specifica regolamentazione non si applica dal prossimo 3 gennaio 2018, giorno di entrata in vigore del regolamento, ma sei mesi dopo la pubblicazione della delibera in Gazzetta Ufficiale. 

Un particolare va ricordato: i portali che esercitano in Italia e per i quali si applicheranno queste norme, di raccolta fondi con il crowdfunding, sono quasi tutti in rosso.

 

CROWDFUNDING E IMPRESE: PERCHÉ NON FUNZIONA IN ITALIA

Cercare fondi e farsi finanziare un progetto col crowdfunding non è semplice. Occorre avere un seguito da muovere sui portale di finanziamento e in epoca di crisi, come quella attuale, la donazione non è la prima scelta degli italiani. Nel mondo i grandi donatori sono per lo più di cultura e lingua inglese, quindi l'eventuale progetto da finanziare dovrebbe essere postato sui portali anglosassoni e alimentato da iniziative in inglese, se vogliamo ragionare con realismo e tener conto che la potenza e l'unicità del progetto non basta a muovere grandi numeri, appunto la folla. Occorre parlare la lingua che la folla dei donatori utilizza.

La sola forza delle idee in un sistema come l'Italia, che non facilita le imprese né il lavoro, non basta.

In più viviamo in un epoca in cui i business e le imprese sono sempre da considerare come investimenti a brevissimo raggio. In Italia anche le tanto decantate start up e incubatori di imprese hanno vita breve. Otto su dieci falliscono in tre anni. 

E poi se parliamo di imprese vere e proprie le buone idee andrebbero protette.

Raccontiamo l'esempio di una storia concreta. Un'impresa di ragazzi napoletani (non mettiamo i nominativi per non aggiungere la beffa al danno che già hanno subito) fanno un crowdfunding per poche migliaia di euro per un geniale prodotto altamente tecnologico. Espongono l'idea su un portale di crowdfunding e parte la raccolta. Ma prima che il progetto veda la luce, persi nelle ulteriori burocrazie italiche, si ritrovano il loro prodotto realizzato da un team cinese (che ha pedissequamente riprodotto la loro idea, come esposta sul portale di raccolta) immettendolo sul mercato mondiale a un terzo del prezzo immaginato.

Lo Stato e il mercato, tanto meno quello italiano fatto di gabelle, vassalli e papponi, non ha capacità di difenderti ed anche una buona idea diventa preda per chi ha capitali, poche norme e fa quello che gli pare.   

Una via di fuga è però realizzabile con il modello di tipo “donation”. Il progetto in questi casi non è finalizzato ad un'attività commerciale o economica ma ci sentiremo lo stesso sconsigliarci l'iniziativa dai commercialisti italiani. Ci diranno: “Non farlo. L'Agenzia delle Entrate potrebbe un giorno contestarti che la donazione va considerata come reddito e tassartelo togliendoti una parte sostanziosa della somma a seconda della dimensione, applicando le varie aliquote per scaglioni di reddito, il 23%, il 27%, il 38%, il 41% o il 48%”. Vedi anche qui.

“Ma con le paure non si fa mai nulla”- spiega  l'avvocato Lerro -“Se non c'è attività commerciale non c'è tassazione. Punto e basta. Si può tenere per il progetto la somma donata”.

Se invece la raccolta fondi mette in moto, a qualsiasi titolo, un'attività commerciale l'ammontare viene automaticamente considerato reddito tassabile (con l'applicazione per scaglioni delle solite aliquote). Un esempio banale. Se creiamo un crowdfunding per realizzare un libro che poi pubblicheremo ma non abbiamo il denaro sufficiente, mettiamo 20000 euro, per il tempo da dedicare alla ricerca e alla scrittura, il denaro che raccogliamo è da considerare reddito e va tassato. Di quei 20000 euro, 5400 vanno allo Stato. Meglio che niente, direte. Ma farsi donare del denaro non è facile. Per non renderlo tassabile basta non pubblicare il libro. Neanche regalarlo ai sottoscrittori del crowdfunding perché l'operazione potrebbe essere considerata una prevendita.

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