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Da Agorà a Tagadà, ascolti flop per i talk: crisi nera per la tv delle parole
TV Ragazza annoiata

Ascolti tv, la formula dei talk show non tira più. Ecco perché

Ore di dibattiti, fiumi di parole, solfe che rischiano di diventare il sottofondo di ascoltatori distratti e pure stufi. Non è chiaro se il futuro dei talk sia soltanto questo ma gli ascolti della stagione televisiva da poco partita di certo non incoraggiano la tv dei bla bla. Un tentennamento che si registra già da un po’ e che ora pone di nuovo al centro la questione di un’offerta forse non più convincente come un tempo. La televisione del resto lo ha nel nome: c’è bisogno di visione e forse anche di visionari. Immagini che intrattengano, contenuti che stimolino, persone e personalità capaci di proporre ogni volta un mosaico di linguaggi in grado di interessare.

Ma se il mosaico perde i pezzi succede che a rimanere sono “solo” le parole. Lungi da noi sminuire il valore enorme del confronto nei casi più fortunati (litigi sguaiati in quelli più beceri). La domanda però è sul valore attuale di una tv che sempre più spesso si ritrova a raccontare il mondo alla stessa maniera di una radio di vecchia data. Di quelle con ascoltatori ormai assuefatti all’identico vocìo giornaliero, senza il bisogno di sapere davvero chi parla e chi ribatte, chi attacca e chi difende, chi è competente e chi invece non lo è. Ritornelli che vanno avanti per settimane sugli stessi identici temi e che rischiano di non essere nemmeno più concilianti per sonnellini pomeridiani o serali.

LEGGI ANCHE: Ascolti tv, Floris e Berlinguer calano entrambi ma DiMartedì resta 1° talk

La stagione è appena cominciata e si spera in risalite di share, ma al momento alcuni dei protagonisti di questa radio-tv sembrano perdere sempre più colpi. Gli esordi del 2023 paragonati con quelli dello scorso anno vedono oscillare la maggior parte dei talk show politici tra il 3% e il 5% di share. Agorà su Rai3 ha cominciato con il 3,2% (4,7% nel 2022); per Agora weekend è valso un vero e proprio dimezzamento: dal 6,1% dello scorso anno al 3,3% di oggi; non se la passa bene nemmeno Tagadà su La7 al 2,8% d'esordio (3,8% nel 2022).

L’aria che tira con la new entry Parenzo proprio non decolla: all’esordio non è riuscita a sfondare il 5%, fermandosi a un 4,6% e scendendo al 3,89% nella seconda parte chiamata “Oggi”. Esordi a parte, anche le successive performance continuano a non essere delle migliori. Al 2 di ottobre L’aria che tira orfana di Myrta Merlino registra 207.000 spettatori pari al 4,38% di share mentre Tagadà non si schioda dal 2,8%. Dopo l’appari e scompari di Safiria Leccese e della conduzione di coppia durata solo due puntate, Stasera Italia Weekend di Augusto Minzolini tenta una faticosa risalita con il 4,4% e 801.000 spettatori. Piazza Pulita con il 5,9% soffre il Dritto e Rovescio di Del Debbio (6,2%). Mentre Quarta Repubblica naviga sul 5,56% e 761.000 spettatori. Nulla che una fiction Rai ben recitata insomma non possa vincere. Una su tutte la Imma Tataranni di Rai Uno che, costante tra il 25% e il 27% di share, batte tutti (Signorini compreso).

Ma del resto la formula attuale ridotta all’osso è sembrata vincente spesso anche per la minima spesa. Ore di trasmissione con il forse unico vero costo del conduttore. A tutto il resto pensa il narcisismo, spesso a gratis, di ospiti in fila per la notorietà. E così il format naviga a vista, tra lungi monologhi travestiti da dialoghi accesi, poltrone che cambiano sederi a seconda dei temi perché, si badi bene, “di questi argomenti ne devono parlare gli esperti” e qualche guizzo di “popolanità” con uno o due servizi di interviste realizzate da inviati (purtroppo) marginali.

L’illusione ottica del contenuto a basso prezzo però ora sembra essere un limone troppo spremuto. E allora la domanda è se il succo del discorso televisivo sia ancora in grado di soddisfare la sete degli spettatori. Un barlume di speranza sono ancora i grandi classici. Otto e mezzo di Lilly Gruber oscilla tra il 7% e l’8%, DiMartedì con Giovanni Floris sale dal 5,9% del 2022 a un esordio del 7,2% di share nel 2023. Bene anche per Berlinguer che al momento sembra una delle (poche) sfide vinte della rivoluzione Mediaset.

A guardar bene l’elemento che accomuna i contenitori funzionanti sta forse proprio nei loro capitani, da anni punto di riferimento per un preciso target di pubblico, con identità e stile ormai definiti e una composizione del racconto a immagine e somiglianza proprio di chi ne tira le fila. Il rischio della tv-radio per loro sembra lontano. O per modernizzare il tutto, il pericolo della tv-podcast, in cui non sempre è necessario dare un volto a una voce, un’identità ai fiumi di parole. Con buona rassegnazione di chi spera in un ritorno economico che al momento sembra tutto tranne che soddisfacente (sui guadagni dei podcast Affaritaliani ha già riflettuto qui).

E allora forse il punto non sono tanto le parole ma chi le pronuncia. Non è tanto il dibattito in veste di format ma chi ne studia la struttura e ne traccia i confini. È la perduta lungimiranza di creare nuovi volti e talenti semplicemente credibili. E intanto gli editori stanno a guardare, affidandosi a un giro di facce e faccette spesso dimenticate e dimenticabili. La speranza banale ma dura a morire è che in fondo basti un po’ di scarsa dialettica per farsi chiamare Socrate.

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