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MediaTech
Perrino, gran professionista e uomo libero. L'importanza dell'editore puro

LA RISPOSTA DEL DIRETTORE DI AFFARITALIANI.IT, ANGELO MARIA PERRINO

Grazie Sergio, da un allievo che ha superato il maestro (quanti ricordi, quante belle esperienze formative in comune), da un uomo libero a un uomo libero fanno immenso piacere e producono fecondi stimoli le tue parole e la tua analisi strutturale, sui giornalisti, sull'editoria, sulla purezza perduta.

Mi piace evidenziare le tue sottolineature: professionalità, fantasia, indipendenza. Sono le mie caratteristiche, secondo te che mi conosci bene. Ma soprattutto sono il corredo necessario per fare la nostra professione, presente e futura.

La libertà, l'autonomia da qualsiasi Potere sta in primis, è il valore di base, la conditio sine qua non. O c'è o non c'è: la libertà di stampa è indivisibile. Ripartiamo da qui e dal nostro piccolo, grande patrimonio di credibilità dopo questi primi 20 anni propedeutici e dopo i tempi confusi ma creativi della disruption internettiana. Con tanto spirito di resilienza e un po' di sana meditazione. Chi ce li ha ce li ha, questi attributi. Chi non ce li ha, come il coraggio di Don Abbondio, non se li può dare.

Un abbraccio forte e avanti fuffando (ricordi?)
tuo Angelo

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Vent'anni di Affaritaliani.it, il primo in Rete. L'indipendenza logora chi non ce l'ha

 

20 anni Affaritaliani (1996)   Ape grande

Nella foto la prima homepage di Affaritaliani.it

Di Sergio Luciano
 
“Ci sono molti buoni giornali in edicola, ma nessuno è come noi: perché noi siamo l’unico autodiretto. Gli altri, anche i migliori, sono eterodiretti”. Era il 1989 ed Eugenio Scalfari, fondatore, direttore e azionista di riferimento del Gruppo Editoriale L’Espresso e, tramite esso, di Repubblica, spiegava a un giovane cronista la caratteristica unica ed essenziale del suo giornale. E precisava: “Anche noi abbiamo numerosi soci che fanno altri mestieri, ma li abbiamo scelti noi e comunque non hanno l’ultima parola sulle strategie e sulle scelte importanti della casa editrice”.

Mi tornava in mente questo flash ragionando sui vent’anni di Affari Italiani e sulla grande sfida del suo fondatore e tuttora direttore ed editore Angelo, un amico caro innanzitutto, ma anche un grande professionista, un fantasista di inesauribile energia, e prima ancora di tutto questo un uomo libero.
Quando nel 1996 Angelo Perrino ha fondato Affari, il 95% degli italiani neanche sapeva cosa fosse Internet. Men che meno avrebbe immaginato quel che sarebbe diventato il Web per l’informazione: non “uno dei luoghi” dove ci s’informa ma “il” luogo dove chiunque s’informa prima che altrove.

Angelo lo fiutò, e capì anche un’altra cosa, che cioè tagliando la montagna di costi connessi – nell’editoria tradizionale – alla produzione fisica dei giornali (cioè la carta, la stampa, la distribuzione, le rese), la possibilità di fare informazione sarebbe diventata estremamente più accessibile: che la soglia d’ingresso a quest’attività si sarebbe drasticamente abbassata. E così è stato, ma pochissimi altri all’epoca l’avevano capito.
L’altro punto essenziale della scelta di Perrino è stata la voglia di libertà.

Ma per uscire dal banale su questo punto bisogna aprire una corposa parentesi. Il dibattito sull’editoria nel nostro strano Paese è sempre rimbalzato tra chi sostiene l’importanza che i proprietari dei giornali non abbiano interessi diversi e prevalenti dall’editoria, per non essere tentati di utilizzare il potere mediatico a favore di questi interessi diversi e quindi a discapito dell’indipendenza dell’informazione; e chiridicolizza questa sollecitudine affermando che nella storia dell’editoria abbondano gli esempi di editori puri che hanno prostituito la propria indipendenza.

E’ vero, ma quest’obiezione è inconsistente. Anche chi – da editore puro - decida di prendere partito, e di farlo per soldi, purchè lo faccia di propria volontà e purchè conservi la facoltà di cambiare nuovamente, è pur sempre e rimane un protagonista autonomo nel dibattito politico, sociale, culturale e infine democratico di un Paese; mentre nei gruppi editoriali “impuri”, chi facendo informazione applica una linea che altri gli dettano e che non può influenzare, per bravo che sia è pur sempre una controfigura, un interprete, magari provvisoriamente convinto ma non autonomo: ovvero, conserva l’unica autonomia di dissociarsi e andarsene il giorno in cui non condivide più la linea impostagli… ma nella realtà le nobili dissociazioni ideali capitano assai di rado.

L’editore puro può anche vendersi, ma resta “una voce in più”. Gli editori impuri agiscono a volte, e non ti dicono mai in quali volte, per asservire le proprie voci – e le voci di coloro che gestiscono – ad interessi diversi da quello della buona informazione, oggettiva come può esserlo, imparziale quanto riesce, comunque ispirata al solo obiettivo di dire la propria per farsi leggere.

Ciò non toglie che quotidianamente si possa fare e si faccia dell’ottimo giornalismo anche entro gruppi editoriali impuri e testate controllate da imprenditori che si occupano d’altro, ma al netto di questo dato di fatto, e delle capacità e dell’indipendenza di chi lavora in questi gruppi e testate, è evidente che in ogni momento può capitare che esse siano strumentalizzate e piegate appunto ad interessi diversi.
Non è un caso che le innovazioni – con poche eccezioni – sono state introdotte in editoria sempre da editori puri. Basti pensare alla storia della Mondadori, della Rizzoli e della Rusconi, a Mediaset, o alle radio private, o all’Espresso e poi aRepubblica, allo stesso Giornale di Montanelli, o al gruppo Class, a Cairo, al Fatto e a pochi altri.

Accomunati dall’avere, all’origine, la sfida, o il sogno, e certo anche l’ambizione e la pervicacia di un autore, di un editore-fondatore.
Ecco, Angelo Perrino è di questa pasta. Nel suo piccolo, si capisce, e nelle mille difficoltà del “fare business” sul web che in tutto il mondo i giornali on-line hanno incontrato ed incontrano. Ma la pasta è quella.
Poi, per carità, bando alle celebrazioni: ha  i suoi difetti come tutti. Però una tenacia come quella che gli ha permesso di portare avanti Affari per tutti questi lunghi vent’anni, superando una serie di ostacoli e di batoste che avrebbero tramortito un rinoceronte, la s’incontra di rado, a questo mondo.
Dove andrà Affari Italiani e dove andranno i pochi altri giornali, cartacei o digitali che sono, almeno potenzialmente, “più liberi” degli altri perché “autodiretti” e non “eterodiretti”?

A parte gli auguri, a parte i brindisi e le torte, che si convengono ad ogni compleanno, la scommessa è che la professionalità di chi sceglie il mestiere del giornalista e lo fa con passione, impegno e indipendenza venga, presto o tardi anche in Italia (perché in molti Paesi sta già iniziando ad accadere) riconosciuta e corrisposta con adeguati investimenti.

La scommessa, ad esempio, è che si capisca presto – o meglio, si constati, perché basta aprire gli occhi per accorgersene – che la buona informazione costa e va quindi pagata da chi vuole fruirne; oppure, se proprio non la si vuol pagare, se è buona informazione e se trattiene l’attenzione del pubblico con più forza e per più tempo di quando accade con l’informazione dozzinale degli aggregatori e dei sistemini automatici che pullulano nel web, è un oggetto pregiato vicino al quale è molto utile piazzare la propria pubblicità.
Per ora, almeno in Italia, non è così, e un “visitatore unico” di un sito di meteo o di oroscopi viene valutato dal mercato pubblicitario alla pari di un lettore di un giornale on-line. Sciocchezze: c’è un abisso. Prima o poi anche l’industria della pubblicità (mai veramente innovatrice) lo capirà. E allora – che si affermi il “pay” o che cambi la logica della pubblicità - ci sarà più spazio per chi, come Affari ma per fortuna non solo, riesce a fare del buon giornalismo sul web.
Auguri a tutti gli amici di Affari Italiani, centomila di questi visitatori unici.

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