Covid, chi è più a rischio? La risposta è in 13 regioni del DNA

Inibire questi geni potrebbe portare a un nuovo trattamento terapeutico più efficace per combattere la malattia

Coronavirus
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Covid, chi è più a rischio: uno studio internazionale ha scoperto una correlazione tra 13 sezioni del DNA e una maggior possibilità di contrarre il Coronavirus

Perché alcune persone hanno un rischio più alto di contrarre il Covid-19 rispetto ad altre? La risposta potrebbe arrivare da uno studio sul DNA pubblicato oggi su Nature. La ricerca avrebbe infatti individuato 13 punti del genoma umano che sono fortemente associati al rischio di infezione da Coronavirus e alla gravità della malattia. Inoltre, ci sono alcuni sintomi a cui fare attenzione per verificare di non essere stati contagiati dalla variante Delta.

La ricerca è in realtà un progetto di collaborazione internazionale che ha coinvolto oltre 3.500 scienziati e che racchiude in sé ben 61 altri studi provenienti da 25 Paesi. Per la raccolta dei dati sono stati presi in considerazione quasi 50mila pazienti affetti da Covid.-19 e sono stati effettuati ben 2 milioni di controlli su pesone sane. Per quanto riguarda l'Italia, al progetto hanno partecipato i tre atenei milanesi del'Humanitas, Università degli Studi e Bicocca.

Covid, chi è più a rischio: ecco i marker genetici legati a rischio e gravità della malattia

I ricercatori hanno scoperto 13 parti di DNA che sono associate a un maggiore rischio di contrarre il Covid-19 e di sperimentare i sintomi gravi della patologia. Due di queste sezioni hanno frequenze più elevate nei pazienti dell'Asia orientale e meridionale rispetto a quelle europee. Uno in particolare è prossimo al gene Foxp4, collegato al cancro al polmone. Inibire questo gener potrebbe portare a una nuova cura contro il Covid-19. Altri geni come Dpp9 e Tyk2 sono invece associati rispettivamente al tumore al polmone e a malattie autoimmuni. 

"Abbiamo avuto molto più successo rispetto a esperienze passate nel comprendere il ruolo della diversità genetica perché abbiamo partecipato ad uno sforzo concertato per raggiungere le popolazioni di tutto il mondo", ha dichiarato Stefano Duga, ricercatore di Humanitas e docente di Biologia molecolare di Humanitas University - Il lavoro da fare è ancora molto, ma siamo sulla strada giusta per comprendere meglio questa malattia".