Dallo scacchiere di UniCredit all’alternativa di sistema di Mps/Mediobanca: che cosa succede nel mondo delle banche
Un’analisi informata e inedita sul momento inedito e magmatico che sta vivendo il comparto creditizio italiano
Una banca per il sistema Paese: l’Italia tra consolidamento e responsabilità strategica
Nel silenzio operoso dei palazzi finanziari e tra le dichiarazioni misurate dei decisori pubblici, si sta delineando un progetto ambizioso, forse il più rilevante degli ultimi anni per l’architettura bancaria italiana. Un progetto che punta non solo a razionalizzare gli assetti, ma a ridare una vocazione profonda alla funzione bancaria: quella di servire lo sviluppo economico, sostenere l’industria, essere infrastruttura della società.
Il recente sostegno — esplicito nella forma tecnica e discreto nei toni politici — del governo italiano all’operazione di fusione tra Monte dei Paschi di Siena e Mediobanca, va letto in questa chiave. Non si tratta soltanto di accorpare istituti storici, né di risolvere una volta per tutte il dossier del controllo pubblico su MPS. In gioco c’è qualcosa di più ampio: la costruzione di un terzo polo bancario nazionale che non sia una copia minore dei due grandi player, ma un soggetto con una missione distinta, complementare a Intesa Sanpaolo e alternativa al disegno espansivo di UniCredit.
Questa prospettiva non nasce dal nulla. Già nel 2020, come Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (COPASIR), avevamo avviato un’indagine conoscitiva sul sistema bancario-assicurativo italiano, con l’obiettivo di valutare i profili di sicurezza economica e autonomia finanziaria del Paese. Allora, emerse chiaramente l’esigenza di rafforzare un sistema bancario solido, pluralistico e strategico, con Monte dei Paschi individuato come uno degli attori potenzialmente più significativi in una prospettiva di risanamento prima, e rilancio poi. I temi di allora — concentrazione degli assetti, equilibrio tra soggetti pubblici e privati, presidio nazionale nei settori assicurativi e di credito — ritornano oggi con tutta la loro attualità, ma dentro una dinamica che può finalmente essere propositiva.
UniCredit e il grande scacchiere
UniCredit, con la guida di Andrea Orcel, ha intrapreso una traiettoria fortemente internazionale e finanziaria. L’offerta pubblica di scambio su Banco BPM ne è stata la più evidente manifestazione. Un’operazione che, oltre ad aver sollevato perplessità in seno al governo e alle autorità di vigilanza, ha aperto interrogativi sulla tenuta del sistema Paese: è compatibile con l’interesse nazionale una concentrazione così forte senza un disegno strategico condiviso? Il golden power esercitato dall’esecutivo — con condizioni chiare e vincolanti — ha rappresentato una difesa dell’equilibrio industriale e territoriale, e un segnale inequivocabile: la politica economica non abdica alla logica dei mercati.
Intesa Sanpaolo: un modello già maturo
Dall’altra parte, Intesa Sanpaolo si è già consolidata come la vera “banca sistema” italiana. La sua rete, la capillarità, l’impegno su welfare, cultura, fondazioni bancarie e sviluppo urbano, la pongono come un attore che ha saputo fondere profitto e responsabilità sociale. Il suo stesso rifiuto di entrare nel caos delle scalate di primavera è una scelta strategica: la forza della rendita di posizione matura, non quella dell’espansione muscolare. Ma in un sistema a due poli — Intesa e UniCredit — il rischio è che manchi una banca a vocazione produttiva, industriale, vicina alla media impresa manifatturiera, all’agricoltura evoluta, alla transizione tecnologica delle PMI.
MPS-Mediobanca: un polo “di sistema” diverso
È qui che si inserisce la scommessa su MPS-Mediobanca. Da una parte, il grande malato risanato, Siena, con una rete commerciale che conserva ancora una prossimità e una conoscenza del territorio che molte banche hanno smarrito. Dall’altra, Mediobanca, con il suo know-how nell’investment banking, nella finanza d’impresa, nel risparmio gestito. Un’alleanza inedita, per certi versi controintuitiva, ma che — se governata bene — può dare vita a una banca nuova: solida, moderna, produttiva, in grado di parlare il linguaggio dell’impresa, delle filiere, del credito industriale, ma senza perdere il legame con le province, con i distretti, con i centri medi e i settori critici.
Non è un caso che il governo non abbia esercitato il golden power in questa operazione. È una scelta ponderata: favorire la costruzione di un soggetto nazionale, ma di mercato, e al tempo stesso funzionale agli obiettivi di sviluppo. Una banca che non sia solo “grande”, ma “giusta” nel disegno economico del Paese.
In questo scenario, non va trascurata la potenziale complementarità tra il nuovo polo in via di costruzione e una realtà consolidata come Intesa Sanpaolo. Se quest’ultima ha già assunto il profilo di banca nazionale sistemica, capace di operare anche come infrastruttura sociale — attraverso il sostegno alla cultura, all’inclusione finanziaria, alla programmazione territoriale — il nuovo attore potrebbe portare un dinamismo più agile, radicato nei segmenti produttivi emergenti, nei distretti manifatturieri, nelle reti di PMI e nei territori che chiedono attenzione e credito.
Le sinergie tra i due poli potrebbero diventare una risorsa sistemica per l’intero Paese: non tanto in un’ottica di concorrenza, quanto di divisione intelligente delle funzioni e cooperazione strategica. Dalla co-finanza infrastrutturale alla complementarità nel credito industriale, dalla condivisione di standard ESG fino al rafforzamento del sistema del risparmio gestito e della previdenza integrativa, il dialogo tra due modelli bancari solidi ma diversi potrebbe arricchire l’ecosistema italiano, anche in ottica europea.
Il nodo Generali: l’asse strategico e le incognite
In questo contesto, si inserisce il fronte assicurativo, con Generali al centro di movimenti che restano ancora opachi. Il legame storicamente profondo tra Mediobanca e il Leone di Trieste è oggi attraversato da tensioni interne e spinte verso un nuovo assetto. C’è chi teme un ridimensionamento del ruolo italiano in Generali, o peggio ancora un’ulteriore apertura verso logiche puramente finanziarie, sganciate dall’identità industriale dell’assicurazione.
Non è un mistero che il governo stia osservando con attenzione anche questo dossier, consapevole che la sinergia banca-assicurazione è oggi centrale nella costruzione di piattaforme finanziarie capaci di sostenere sviluppo, protezione sociale, investimenti infrastrutturali. Se Mediobanca e Generali si allineassero nella strategia, il terzo polo bancario potrebbe estendersi anche al mondo assicurativo, consolidando un’area finanziaria integrata e competitiva a livello europeo.
Un nuovo umanesimo bancario
Alla fine, ciò che emerge è una nuova esigenza: non solo avere banche solide, ma avere banche con una missione. La stagione delle fusioni a ogni costo sembra cedere il passo a un tempo nuovo, in cui il valore strategico delle banche si misura non solo in utili, ma in impatti sistemici, nella capacità di essere motori dello sviluppo e non solo trasmettitori di capitale.
In questo senso, la “terza banca” che si sta disegnando — attorno a Siena, a Mediobanca, forse a nuovi attori — è la più politica delle banche. Non per la sua proprietà, ma per la sua funzione: essere al servizio di un modello di crescita coeso, produttivo, solidale, che risponda alle vocazioni territoriali e accompagni le trasformazioni economiche del Paese.
Non è nostalgia. È strategia moderna, europea, e necessaria. In un tempo in cui il sistema Paese è chiamato a scegliere le sue priorità, avere una banca che torni a conoscere i nomi dei clienti, le mappe delle filiere, i progetti delle comunità, non è un lusso. È una decisione sovrana.
LEGGI LE NOTIZIE DI ECONOMIA