Ilva, restano incertezze.E l'Ue cancella dal Pnrr i fondi al "forno elettrico"

di Andrea Deugeni
Lapresse
Economia
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Accogliendo l'appello di ArcelorMittalItalia e dell'ex Ilva, il Consiglio di Stato ha disposto l'annullamento della sentenza del Tar di Lecce sullo spegnimento degli impianti dell'acciaieria pugliese dando di fatto il via libera alla prosecuzione delle sue attività. Una decisione che ha tenuto fino ad oggi con il fiato sospeso i 17.700 lavoratori (fra i 10.700 di Acciaierie Italia e i 7 mila addetti delle 150 imprese dell’indotto) che gravitano attorno al polo siderurgico tarantino, il Governo stesso che con Invitalia a maggio 2022 subentrerà con la salita dal 38 al 60% del capitale alla guida operativa del gruppo e le numerose imprese italiane che si riforniscono per la materia prima dalla più grande acciaieria d’Europa, senza doverla così acquistare a prezzi più alti oltre confine. Si è diradata la più massiccia nube d’incertezza sulla continuità produttiva dell’ex Ilva. All’orizzonte però restano altri punti interrogativi.

Il primo è quello della governance aziendale. Dopo gli accordi di dicembre dello scorso anno che hanno delineato il ritorno dello Stato nella siderurgia, la coabitazione fra il socio pubblico e quello privato (ArcelorMittalItalia) si è rivelata subito difficile. Lo scontro sul bilancio in assemblea fra Lucia Morselli e i tre consiglieri espressione di Invitalia (il presidente Franco Bernabè, Stefano Cao e Carlo Mapelli) ha impedito la formazione del consiglio di amministrazione e uno stallo sull’operatività aziendale che solo l’attesa del compimento dell’intero processo della giustizia amministrativa ha reso ammissibile.

Sempre dal punto di vista della governance, a metà maggio, nell’incontro al Mise con i sindacati, il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, mentre le produzione a Taranto è ai minimi livelli e prosegue il ricorso alla cassa integrazione da parte dell'azienda, aveva scoperto le carte rispetto al cronoprogramma di dicembre fra Invitalia e ArcelorMittal, spiegando di voler anticipare la conquista della maggioranza da parte del socio pubblico: 680 milioni da versare dunque prima di maggio 2022, esprimendo, come da accordo, anche l’amministratore delegato e mettendo fuori, come rivelato ad Affaritaliani.it da fonti sindacali, la Morselli.

Quali sono i tempi di questa accelerazione visto che, oltre al rispetto di target produttivi più elevati, c’è in ballo anche la decarbonizzazione degli impianti e la produzione dell’acciaio verde, migliorie che, come hanno dimostrato la sentenza del processo Ambiente svenduto e il nuovo capitolo giudiziario appena conclusosi sull’area a caldo, non possono più attendere?

Subito dopo la sentenza, l’amministratore delegato espressione del colosso siderurgico franco-indiano ha gettato però il cuore oltre l’ostacolo, cercando di marcare il territorio, con una nota: ha fatto sapere che “Acciaierie d'Italia è pronta a presentare già dalla prossima settimana, insieme con i suoi partner industriali Fincantieri e Paul Wurth (ex Italimpianti), la propria proposta di piano per la transizione ecologica dell'intera area a caldo dello stabilimento di Taranto, tramite l'applicazione di tecnologie innovative ambientalmente compatibili e con l'obiettivo di una progressiva e costante riduzione delle quote emissive, che vada anche oltre le attuali prescrizioni”.

Fonti vicine al dossier spiegano che sul ruolo di general contractor in cordata di Fincantieri c’è l’incognita della scadenza del mandato a fine anno dell’amministratore delegato Giuseppe Bono e del potenziale conflitto d’interesse di ArcelorMittalItalia, allo stesso tempo socio di Acciaierie Italia e potenziale fruitore dei lavori di riconversione.

Per l’introduzione dell’acciaio verde, c’è un bando da fare, scrivere i capitolati e fare la gara visto che ci sono anche altri soggetti industriali interessati alla partita della riconversione green dello stabilimento, a partire dal consorzio formato da Danieli, Saipem e Leonardo. Un processo da svolgersi sotto la supervisione dello Stato che durerà parecchi mesi e che, secondo le fonti, potrebbe veder partire la gara appena la prossima primavera.

Infine, c’è l’incognita dei fondi europei, due miliardi nel nostro Recovery Plan. Affaritaliani.it può infatti rivelare che dalla nuova versione del Pnrr appena approvata dall’Unione europea è scomparso (a pag. 254, vedi sotto) del tutto il riferimento alla tecnologia “DRI” (processo di riduzione diretta del minerale di ferro preridotto, Direct reduced iron) e al “forno elettrico” (a pag. 133), parti centrali del piano di riconversione dello stabilimento tarantino che, attraverso la produzione di 2,5 milioni di tonnellate l’anno (su 8 complessive a regime), dovevano trasformare l'ex Ilva nel più grande impianto di produzione di acciaio verde in Europa. La nuova versione del Recovery Plan italiano bollinata dall'Ue prevede soltanto l’utilizzo dei fondi per la generica “produzione di acciaio attraverso un uso crescente dell’idrogeno”, lasciando fuori quegli impianti che utilizzano anche gas naturale.


 

Il testo del Pnrr italiano, inviato a Bruxelles il 30 aprile, sugli investimenti per l'acciaio verde 


 

Il testo del Pnrr italiano, approvato dall'Unione europea, sugli investimenti per l'acciaio verde 

La tecnologia della riduzione diretta ("DRI"), che sostituisce quella degli inquinanti altiforni e che parte dall'inserimento nel reattore del minerale di ferro già arricchito, prevede poi l’iniezione del gas metano, opzione per cui Bruxelles non concederebbe i fondi, oppure anche dell’idrogeno. Un elemento che però, se usato al 100%, farebbe lievitare immediatamente i costi imponendo una valutazione ad hoc del ritorno dell’investimento. Insomma, pare che per l'ex Ilva non ci sia mai pace. 

@andreadeugeni