Brand o brand...elli / Kodak, il colosso che ha fotografato il mondo e ora deve salvarsi dal fallimento
Oggi Kodak non è più il gigante che ha portato la fotografia nelle case di tutto il mondo. Ha clienti affezionati, un marchio ancora potente e un piano per liberarsi del debito.
Kodak, dal boom delle pellicole al rischio bancarotta
C’era una volta, e in parte c’è ancora, un’azienda che ha insegnato al mondo a fermare il tempo con un clic. "You press the button, we do the rest", era questo il motto di George Eastman, quando nel 1888 lanciò la sua Kodak con una promessa semplice ma rivoluzionaria per i tempi. Bastava scattare, allo sviluppo ci pensava lei. Quattro anni dopo, nel 1892, nasce ufficialmente la Eastman Kodak Company. E con la Brownie, la scatoletta da un dollaro arrivata nel 1900, la fotografia diventava così una vera abitudine di massa.
Tra gli anni ’30 e i ’60 Kodak è sinonimo di fotografia. La pellicola a colori Kodachrome diventa un’icona, così come le Instamatic, piccole e facili da usare. Il modello di business è perfetto, le fotocamere costano poco, ma ogni rullino e ogni stampa generano margini enormi.
Negli anni ’80 il dominio comincia a incrinarsi, quando la giapponese Fujifilm entra sul mercato americano con prezzi più bassi e una strategia aggressiva, come lo sponsor alle Olimpiadi di Los Angeles 1984. Kodak perde quote e redditività. Eppure, paradossalmente, aveva già in casa il futuro: nel 1975 un ingegnere, Steve Sasson, aveva costruito il primo prototipo di fotocamera digitale. L’azienda decide però di non svilupparlo: passare al digitale avrebbe minato la (loro) gallina dalle uova d’oro, la pellicola.
Si rivela un errore: all’inizio degli anni 2000 è il digitale a dominare. Kodak tenta di recuperare con le fotocamere EasyShare, chioschi di stampa e stampanti a getto d’inchiostro. Ma i costi di riconversione sono altissimi e il mercato corre più veloce. Tra il 2004 e il 2007 Kodak chiude 13 impianti di pellicole, smantella 130 laboratori e licenzia circa 50.000 persone.
Il 19 gennaio 2012 arriva il colpo più duro. Kodak chiede la protezione del Chapter 11, la procedura fallimentare americana. Per sopravvivere vende oltre 1.100 brevetti legati alla fotografia digitale a un consorzio che include Apple e Google per 525 milioni di dollari. Nel 2013 cede anche tutta la divisione consumer imaging e document scanning al fondo pensione britannico Kodak Pension Plan UK: in cambio ottiene la cancellazione di un pesante debito pensionistico e circa 650 milioni di dollari in contanti e asset.
Nasce così Kodak Alaris, che produce e vende fotocamere, pellicole fotografiche e servizi di stampa per il pubblico, usando il marchio in licenza. Quando esce dalla bancarotta, Kodak è molto più piccola e concentrata su pochi settori: stampa commerciale e digitale, materiali e chimica avanzata, e pellicola cinematografica. Proprio quest’ultima viene salvata nel 2015 da un accordo con grandi studi come Disney, Fox, Paramount, Sony, Universal e Warner, che garantiscono acquisti minimi per mantenere viva la produzione di pellicola 35mm e 65mm.
Gli anni seguenti scorrono senza grandi clamori fino al 2020, quando in piena pandemia la Casa Bianca annuncia un prestito da 765 milioni di dollari per trasformare Kodak in produttore di principi attivi farmaceutici. Tra indagini e accuse di insider trading, l’operazione si blocca e Kodak torna al suo core business. Intanto, il mercato analogico conosce una piccola rinascita: fotografi e registi tornano alla pellicola, e tra il 2022 e il 2024 l’azienda aumenta la produzione e assume nuovo personale per soddisfare la domanda.
E così arriviamo al 2025, con Kodak ancora in piedi ma in equilibrio precario. L'allarme arriva dal bilancio trimestrale e il "sostanziale dubbio" sulla capacità di continuare le operazioni. Il problema non è la domanda, ma il debito: 477 milioni di dollari di term loan e altri 100 milioni di preferred shares in scadenza, senza linee di credito pronte a coprire il buco.
Il piano per salvarsi c’è: chiudere il Kodak Retirement Income Plan, un fondo pensione americano sovrafinanziato, e recuperare circa 500 milioni di dollari entro dicembre. Se funziona, gran parte del debito sparirà e Kodak potrebbe ritrovarsi quasi “debt-free”. Oggi non è più il colosso che ha messo una fotocamera in mano al mondo: vive di know-how e di clienti fedeli, in un settore in cui l’analogico non è morto ma resiste. Il 2025 deciderà se Kodak riuscirà a scrivere un nuovo capitolo o se la sua storia si chiuderà, mettendo a fuoco una volta per tutte il suo futuro.