Opa Tim-Kkr, tra silenzi e non detti: tutti i punti ancora da chiarire

Rimane misterioso come la Consob, che si è espressa su qualsiasi tema di finanza, non abbia proferito verbo sull'andamento del titolo

di Marco Scotti
Economia
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Opa Tim-Kkr, tutti i punti ancora da chiarire sulla situazione

Lenti ma inesorabili alcuni pezzi iniziano a muoversi nell’intricatissima vicenda di Tim. L’ha fatto Vivendi, che – pur ribadendo la volontà formale di mantenere un asset strategico come l’ex-Sip – ha sostanzialmente dichiarato che l’offerta è insufficiente anche soltanto per sedersi attorno a un tavolo. Come abbiamo scritto anche qui, da 0.83 euro per azione la cosa potrebbe iniziare a farsi interessante per i francesi.

E il titolo ha iniziato una rapida picchiata verso il basso. Ma altri rimangono ancora immobili, in attesa di ulteriori sviluppi. Il governo, al di là di un comunicato di prammatica non è per ora andato. Nella nota pubblicata si legge che “l’interesse di questi investitori a fare investimenti in importanti aziende italiane è una notizia positiva per il Paese. Se questo dovesse concretizzarsi, sarà in primo luogo il mercato a valutare la solidità del progetto”. Non siamo neanche alla preparazione delle mosse, i giocatori si stanno ancora togliendo le giacche…

A proposito del governo, un approfondimento lo merita il ministro Vittorio Colao. Non è un mistero che l’ex amministratore delegato di Vodafone non abbia mai visto con grande simpatia Tim e il suo progetto di rete unica. Tant’è che con la sua “neutralità tecnologica” ha sostanzialmente gelato qualsiasi possibilità di un network in fibra ottica che potesse raggiungere tutte le case degli italiani.

Ecco, la neutralità tecnologica va benissimo, anche perché l’Italia non si compone soltanto di Milano, Roma o Napoli e delle loro connessioni ultraveloci, ma anche di una miriade di paesini in cui vedere Netflix la sera diventa quasi un miraggio. Ben vengano Fwa, Adsl di nuova generazione e 5G. Però francamente lascia un po’ basiti il silenzio di un ministro, titolare del dicastero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale che, a 48 ore dall’ufficializzazione della manifestazione d’interesse di Kkr non abbia ancora preso una posizione.

Servirebbe una dichiarazione forte da parte di chi, da numero uno di Vodafone, è sempre stato abituato a combattere le battaglie tipiche del capitalismo in prima fila. Invece niente, come se un’offerta – per quanto ancora abbozzata – per un’azienda che prima delle privatizzazioni sciagurate era il quarto operatore al mondo fosse una bazzecola.

E che, piaccia o non piaccia, sta provando a darsi un vestito diverso. Tant’è che Mf provava a mettere in fila le varie anime di Tim arrivando all’incredibile valutazione di circa 27 miliardi, tre volte tanto l’attuale capitalizzazione di Borsa. FiberCo 7,7 miliardi di euro, secondo Kkr; il resto della rete fissa 8 miliardi; Sparkle 1,4 miliardi; ICT-Olivetti 550/600 milioni; Telsy 250 milioni; Noovle prudentemente 4/5 miliardi; la partecipazione in Tim Brasil a 3,1 miliardi di euro di valore di mercato; altro 1 miliardo.

Il ministro Giorgetti, per esempio, ha quanto meno fatto sentire la sua voce: ha annunciato che il governo “valuterà l’interesse pubblico che è sotteso a una rete che ha profili anche strategici, quando l’Opa ci sarà e il piano sarò dettagliato”. Che è anche un modo per andare a “vedere” le carte di Kkr.

Perché il fondo americano avrà pure fatto un’offerta amichevole, ma ha posto delle condizioni che difficilmente si erano viste. Quattro settimane di tempo per un’Opa è una cosa singolare. Così come lo è la richiesta di adesione del management. Visto che Luigi Gubitosi viene dato traballante, questa seconda richiesta appare come una grande ciambella di salvataggio per un manager che – non solo per colpe sue, sia ben chiaro – sta portando risultati meno buoni delle attese.

                   

A proposito di silenzi, rimane misterioso come la Consob di Paolo Savona, che si è espressa su qualsiasi tema di finanza (come è giusto che sia) non abbia proferito verbo quando il titolo di uno degli asset più strategici in Italia, su cui si vuole costruire un pezzo importante della ripartenza, è prima balzato del 30% e poi è calato il giorno dopo di quasi il 3%. Non si tratta di prese di beneficio, ma di speculazione bella e buona. E servirebbe che si accendesse un faro, una luce o almeno un cerino.

Invece niente. Infine c’è Cdp. Il secondo azionista di Tim non si è ancora pronunciato, nonostante detenga il 9,8% dell’azienda. E non l’ha fatto per almeno due motivi: il primo è che fino alla presentazione del piano industriale prevista per il 25 novembre alle ore 15 il “low profile” sarà l’unico mantra dalle parti di Via Goito. Il secondo motivo è che il valore di carico della partecipazione in Tim è tra gli 0,65 e gli 0,7 euro per azione. L’offerta “amichevole” di Kkr è lontanissima da una soglia minima per evitare che un investimento condotto in più tranche si tramuti in un segno “meno” su un bilancio che è sempre stato in crescita anche durante la pandemia.

Dunque, se da una parte l’Opa teorica degli americani è legata all’adesione del 51% del capitale (e quindi non servirebbe l’adesione di Vivendi o di Cdp) è naturale pensare che fino a quando non si saprà che cosa voglia fare Dario Scannapieco la partita rimarrà congelata. Non è un caso, quindi, che Kkr abbia dato quattro settimane di tempo.