Biden Xi, il disgelo è solo provvisorio: su Taiwan non ci sarà mai un accordo

Troppo importante Taipei, dal punto di vista economico, tecnologico, geopolitico e strategico: e da Washington potrebbe arrivare subito l'erede di Pelosi

di Lorenzo Lamperti
Esteri

Il summit di Bali rilancia i rapporti Usa-Cina, ma su Taiwan un accordo è impossibile

Certo, i sorrisi e le strette di mano sono un grande passo avanti e un segnale di speranza che forse le due superpotenze possono riportare su binari meno ostili i loro rapporti. Certo, quanto emerso dal preambolo del G20 di Bali fa sperare in molti che qualcosa può cambiare non solo nei rapporti tra le due superpotenze ma magari anche sulla guerra in Ucraina. Eppure, c'è qualcosa su cui Joe Biden e Xi Jinping non si troveranno mai d'accordo. Di più, c'è qualcosa su cui Stati Uniti e Cina non si troveranno mai d'accordo. Quel qualcosa è Taiwan.

Dopo il caos scaturito dalla visita di Nancy Pelosi ad agosto, gli Usa sono pronti al bis. Il probabile nuovo speaker della Camera a partire da gennaio, Kevin McCarthy, a luglio aveva criticato Biden per non aver appoggiato esplicitamente il viaggio di Pelosi e poi anche quest'ultima per non aver accettato di farsi accompagnare. McCarthy ha peraltro anticipato che vorrebbe fare quel viaggio anche a lui una volta in carica. Il che potrebbe portare a nuove fortissime tensioni con Pechino. Ma al di là di McCarthy, la questione taiwanese è l'unica su cui di certo nessuno intende mollare.

I motivi sono tanti. Partiamo dalla carta. Lo status quo viene descritto e percepito in maniera diversa dalle parti. Pechino ritiene che status quo significa che Taiwan fa parte della Repubblica Popolare, e che anche se la "riunificazione" non è stata completata lo sarà presto. Preferibilmente in modo pacifico. Lo status quo secondo Taiwan è che Taipei e Pechino sono in questo momento governate e amministrate da due diverse entità e così dovrebbe restare la situazione, nell'alveo dell'indipendenza de facto come Repubblica di Cina. E poi ci sono gli Usa nel mezzo, a parole impegnati a garantire che lo status quo sullo Stretto di Taiwan non venga cambiato in maniera unilaterale. Né da un'azione militare di Pechino, né da una dichiarazione di indipendenza formale da parte di Taipei.

Per Pechino, ciò che regola i rapporti tra Washington e Taipei non è legale, in quanto percepisce il Taiwan Relations Act e le Sei Rassicurazioni di Ronald Reagan (diffuse dopo che gli Usa riconobbero ufficialmente la Repubblica Popolare Cinese e avviarono i rapporti bilaterali) come azioni unilaterali in conflitto coi 3 comunicati congiunti siglati tra le due parti per avviare le relazioni diplomatiche. 

Perché su Taiwan né Usa né Cina molleranno

Ma c'è di più, molto di più. Per il Partito comunista, Taiwan è un obiettivo storico. La "riunificazione" (o "unificazione" come la chiamano a Taipei) è la missione da compiere per archiviare definitivamente le cicatrici del cosiddetto "secolo delle umiliazioni" e per completare il "ringiovanimento nazionale". Il preambolo della Costituzione della RPC definisce Taiwan "parte del territorio sacrosanto della RPC. Completare la grande opera dell'unione della patria è un obbligo sacrosanto per l'intero popolo cinese, compresi i compatrioti di Taiwan". Dopo aver compiuto un'ascesa economica, diplomatica e militare impontente e dopo aver "normalizzato" Hong Kong, l'ultimo tassello è Taiwan. Nella prospettiva del PCC, senza Taiwan il riscatto della Cina non è completo. È quella che Stéphane Corcuff chiama "dipendenza asimmetrica", in cui Taiwan diventa lo specchio della potenza o della fragilità della RPC.

Allo stesso modo, il mantenimento dello status quo sullo Stretto è considerato da Washington condizione essenziale per contenere Pechino, visto il posizionamento di Taiwan nella prima catena di isole del Pacifico, il teatro nel quale appare chiaro ormai che si siano spostati i principali interessi geopolitici mondiali. Ma con la sua democratizzazione Taiwan è diventata importante per gli Usa anche dal punto di vista valoriale e retorico, soprattutto quando la Casa Bianca intende contrapporsi a Pechino sotto il profilo ideologico.

Taiwan ha una rilevanza fondamentale anche sotto il profilo commerciale. Nonostante le piccole dimensioni, Taipei è il nono partner commerciale di Washington (giusto per fare un paragone, prima della guerra l'Ucraina era il 67esimo). Nonostante le tensioni politiche e militari, anche tra Taipei e Pechino il legame commerciale è saldissimo. La maggior parte dei quasi 200 miliardi di dollari di esportazioni taiwanesi verso la RPC sono componenti poi utilizzati nelle esportazioni cinesi. Una guerra commerciale tra le due sponde dello Stretto esporrebbe dunque Pechino a una potenziale forte riduzione dell'export. Ma l'importanza economica di Taiwan non è solo quantitativa, ma anche qualitativa. Soprattutto sul fronte tecnologico, con il fondamentale settore dei semiconduttori che è letteralmente dominato a livello globale dai colossi taiwanesi che controllano da soli oltre il 60% dello share globale del comparto di fabbricazione e assemblaggio.

Senza dimenticare il ruolo che Taipei gioca o può ancora attivamente giocare. Le elezioni del 2024 saranno fondamentali. Anche, per certi versi soprattutto, quelle taiwanesi. Il 26 novembre anticipo con le elezioni locali. Attenzione: non si vota su questioni intrastretto, ma alcune sfide possono incidere su primarie ed equilibri in vista del 2024, quando uno dei candidati potrebbe o dovrebbe essere William Lai, attuale vicepresidente ma a capo della corrente più radicale del Partito progressista democratico della presidente Tsai Ing-wen (più moderata). La sua possibile vittoria potrebbe portare Pechino a dare per certo che si sia di fronte a un punto di non ritorno. A prescindere da quanto accadrà per la Casa Bianca.

 

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