Il prezzo del genio: Elon Musk, Tesla e l’inutile indignazione sul bonus da 1.000 miliardi
Paragonare il valore potenziale del contratto di Musk agli stipendi normali è un esercizio retorico di zero utilità perché il bonus previsto non sottrae niente a nessuno
Non stiamo parlando di ricchezza, di essere ricchi, ma di costruire il futuro, quel che gli Stati e le classi politiche non sanno nemmeno cosa sia...
Nei giorni scorsi gli azionisti di Tesla hanno approvato un piano di compensi da 1.000 miliardi di dollari per Elon Musk e, come previsto, si è spalancato l’inferno. Il numero — un trilione — è così smisurato che ha dato immediatamente il via alla giostra di indignazioni: «Con quei soldi si potrebbero pagare…» «Si potrebbe cancellare il debito di…». Non manca mai l’inventiva quando si tratta di immaginare come spendere soldi degli altri. Eppure quel trilione non è un regalo, né un assegno già in tasca a Musk. È un piano di stock option (azioni) interamente legato alle performance future di Tesla. Musk potrà esercitare le sue opzioni solo se l’azienda centrerà obiettivi industriali e finanziari quasi sovrumani in termini di crescita, robotica, AI, guida autonoma, espansione energetica.
Se Tesla non genera valore, Musk non incassa. Fine della storia. L’errore più comune è continuare a giudicare Musk come un ricco qualunque, ma la sua storia dice esattamente il contrario. Quando vendette PayPal, anziché ritirarsi su qualche isola tropicale, investì quasi tutto — parliamo di circa 170 milioni di dollari — nelle sue nuove follie: SpaceX e Tesla. Se fossero fallite, sarebbe tornato quasi al punto di partenza. Lo hanno preso per un pazzo. Adesso sono tutti occupati a spiegare perché “guadagna troppo”. Musk è un miliardario atipico, non colleziona yacht, non ostenta, non conserva, rischia, semina i soldi dove gli altri vedono solo terra brulla.
Il paradosso è che gli indignati puntano a colpire il presunto simbolo dell’avidità, invece mancano clamorosamente il bersaglio. Paragonare il valore potenziale del contratto di Musk agli stipendi normali è un esercizio retorico di zero utilità perché il bonus previsto non sottrae niente a nessuno. Semplicemente, si attiva solo se Tesla crea un valore gigantesco. A differenza degli Stati che vengono tirati in ballo in questi paragoni, Tesla non stampa denaro, lo crea. Stiamo confondendo un’operazione industriale con un’inerzia pubblica. C’è poi il dato che tutti fingono di ignorare: senza Musk l’auto elettrica non sarebbe dove è oggi.
Quando ci si è buttato non c’erano normative favorevoli, reti di ricarica, fornitori, domanda. C’erano derisione e scetticismo. Oggi i cinesi incalzano, le case tradizionali arrancano e Tesla ha già la testa oltre il settore auto con robot umanoidi, AI, guida autonoma, energia. Nel frattempo, SpaceX sta scrivendo pagine inedite sull’accesso allo spazio. Non stiamo parlando di ricchezza, di essere ricchi, ma di costruire il futuro, quel che gli Stati e le classi politiche non sanno nemmeno cosa sia. Sì, Musk è scomodo, irrita, ha litigato persino con Trump, con cui condivide l’incapacità di passare inosservato. Ma la sua storia industriale resta intatta, senza di lui, il mondo sarebbe più lento. La domanda, allora, non è se un trilione sia troppo. È se esista qualcuno in grado di creare, in dieci anni, abbastanza valore da rendere quel trilione un affare, quasi un’assicurazione di successo. Gli azionisti di Tesla — quelli che rischiano soldi veri — hanno risposto si, e quell’uomo è Musk. Colui che nel rischio ha sempre abitato, forse per questo spesso riesce a sovrastarlo.