“Gli antropologi” di Ayşegül Savaş: una poetica del quotidiano in libreria per Gramma Feltrinelli
Un caso editoriale mondiale osannato da pubblico e critica, scritto nello stile di un quaderno etnografico
Pubblicato in Italia da Gramma Feltrinelli nel 2025 nella raffinata traduzione di Gioia Guerzoni, Gli antropologi è il primo romanzo dell’autrice turca Ayşegül Savaş ad approdare nel nostro Paese, dopo i successi internazionali di Walking on the Ceiling (2019) e White on White (2021). Con questa terza opera, Savaş si conferma una delle voci più originali della narrativa contemporanea, capace di restituire, con un tratto lieve e profondamente umano, il senso più intimo dell’esperienza esistenziale.
Il romanzo è stato accolto con entusiasmo dalla critica e ha conquistato importanti riconoscimenti: miglior libro dell’anno per The New Yorker, Time Magazine, Vanity Fair e New York Magazine, oltre a figurare tra i cinque titoli preferiti da Barack Obama. Un caso editoriale che si è imposto silenziosamente, come spesso accade con le opere che parlano sottovoce ma lasciano un’eco duratura.
Nata a Istanbul, Ayşegül Savaş ha vissuto tra Inghilterra, Danimarca, Stati Uniti, Russia e, da oltre un decennio, risiede a Parigi. Una vita nomade che si riflette nella sua scrittura, intrisa di domande su appartenenza, identità e migrazione culturale. Savaş ha studiato antropologia, disciplina che per sua stessa ammissione ha profondamente influenzato la sua visione narrativa: “L’antropologia offre una lente che permette di osservare le vite ordinarie e di coglierne i simboli” (Vanity Fair).
Al centro del romanzo ci sono Asya e Manu, una giovane coppia di expat in una città mai nominata ma familiare – Parigi, Berlino, Lisbona? Tutte e nessuna. Lei è documentarista, lui lavora per una ong. Hanno lasciato i rispettivi Paesi d’origine, le famiglie, le lingue, per vivere insieme in una nuova città, liberi da tradizioni e imposizioni. La loro vita è fatta di gesti semplici: colazioni condivise, passeggiate al parco, visite immobiliari, videochiamate con i genitori lontani, chiacchiere tra amici selezionati, cene con l’anziana vicina. In questo quotidiano apparentemente banale, Savaş scova una tensione universale: il desiderio di sentirsi “a casa”, non solo in un luogo fisico, ma in una forma di esistenza condivisa.
Come dice l’autrice, “scrivere in una lingua che non è la tua crea anche una distanza emotiva: ti permette di oltrepassare confini che, nella tua lingua madre, sembrerebbero troppo pericolosi” (The Markaz Review). E forse è proprio questo distacco che le consente di raccontare con tale precisione la sospensione, l’incertezza, la fragilità delle vite migranti.
Gli antropologi è composto da brevi capitoli che portano titoli ispirati all’antropologia: Modi di vivere, Soglie, Lingua madre, Identità future. È una sorta di cahier de terrain, in cui Asya osserva la propria esistenza e quella altrui con lo sguardo di una ricercatrice sul campo. Il suo documentario nel parco diventa specchio della sua interiorità: “Voglio solo sapere come vivono le persone, come vivono davvero”, confessa. Non a caso, Savaş ha ammesso che “il romanzo è molto autobiografico” e che l’idea è nata da Future Selves, racconto pubblicato sul New Yorker nel 2021, scritto “mentre io e il mio compagno cercavamo casa a Parigi” (Vanity Fair).
Asya e Manu sono una coppia che si ama senza tragedie, lontana dai cliché narrativi della passione distruttiva. L’autrice ci tiene a precisarlo: “Volevo raccontare la storia di due persone che si amano senza grandi drammi. […] Nella narrativa ci si aspetta sempre tradimenti, malattie, rotture. Io volevo concentrarmi su un amore quotidiano, fatto di piccoli rituali” (Vanity Fair). Il loro legame è fatto di intesa silenziosa, di una lingua intima e condivisa – spesso letteralmente inventata – che diventa l’unica vera “patria” possibile.
Attorno a loro ruotano figure altrettanto interessanti: Ravi, amico anch’egli expat; Lena, l’unica amica autoctona; Tereza, l’anziana vicina poetessa, fragile e vitale. Insieme formano una rete di affetti informali, una nuova “parentela” in una città che non offre radici.
Il romanzo è una riflessione sul concetto di casa, di appartenenza, di costruzione culturale. “In antropologia si dice che la cultura è qualcosa che si impara” ricorda Savaş, e Asya cerca proprio questo: “una struttura simbolica che dia significato, anche se fragile, alla loro vita” (Vanity Fair). La loro quotidianità è fatta di rituali inventati: la giacca di velluto verde, i picnic sull’erba, le feste in case altrui. Ma anche della consapevolezza che ogni gesto può diventare fondativo.
L’assenza di riferimenti geografici precisi è una scelta stilistica e politica: “Non ci svegliamo la mattina pensando ‘oggi mi sento turca’. […] Ci svegliamo e siamo semplicemente noi stessi” (Vanity Fair). Ed è in questa universalità che il romanzo trova la sua forza.
Ayşegül Savaş ha uno stile sobrio, elegante, essenziale. Una scrittura che restituisce “la poesia del quotidiano”, come quella della Nouvelle Vague, a cui l’autrice si dichiara debitrice: “Quando ho scritto il personaggio di The Great Dame, pensavo a Agnès Varda […] e anche a Éric Rohmer” (The Markaz Review). Non a caso, Gli antropologi è stato definito “una specie di Perfect Days di Wim Wenders in formato romanzo”.
Critici e lettori hanno sottolineato la capacità di Savaş di raccontare “la grazia discreta di ciò che, di solito, non sembra degno di essere raccontato” (Rivista Studio), trasformando le azioni più insignificanti in momenti carichi di significato. Un romanzo “breve ma complesso, una danza in equilibrio tra stabilità e fluidità” (Mario Desiati, Robinson), che affronta con grazia il grande tema: come vivere.
Gli antropologi è molto più di un romanzo generazionale. È una meditazione sulla vita, l’amore, il tempo, la lingua, l’identità. Un’opera che, come ha detto l’autrice stessa, nasce da una curiosità autentica: “Quando la curiosità è reale, ti porta lontano. Anche se la storia sembra piccola agli occhi del mondo, se è importante per te, allora altri la troveranno importante” (The Markaz Review).
In un’epoca che ci spinge a correre, Ayşegül Savaş ci invita a rallentare, a osservare, a trovare significato nei piccoli riti. In fondo, come scrive Asya, “la lenta e pigra decomposizione di una giornata” può contenere tutto ciò che serve per sentirsi vivi.