Usa: rene di maiale in un paziente vivo, ma in Italia ancora troppi divieti

Grignaschi, portavoce di Research4Life: "qQesto tipo di ricerca sta andando avanti in tutto il mondo. In Italia, invece, ancora troppi divieti"

di Redazione
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Medicina

Usa, primo trapianto di rene di maiale. Research4Life: "In Italia i divieti pongono un limite sostanziale"

È un intervento storico quello eseguito dai medici del Massachusets General Hospital (MGH), che hanno per la prima volta trapiantato un rene di maiale, modificato geneticamente per evitare il rigetto, in un paziente vivo.

Purtroppo, vi è una grave carenza di organi disponibili per il trapianto per i pazienti che ne hanno bisogno. Nella sola Italia, il Sistema Informativo Trapianti riporta a oggi una lista d’attesa di quasi 8.000 pazienti, per un totale di oltre 9.000 iscrizioni (alcune persone sono infatti in attesa di più di un organo).

Da qui, la ricerca nell’ambito degli xenotrapianti, cioè il trapianto d’organi da specie differenti dalla nostra. Negli ultimi anni, gli studi in questo campo hanno avuto risultati sempre più incoraggianti: dell'intervento al MGH ne è l’esempio più recente.

Nel nostro Paese, però, la ricerca in questo campo potrebbe presto essere bloccata, a causa del divieto di usare animali negli studi sia sulle sostanze d’abuso sia per gli xenotrapianti d’organo.

Research4Life: "In Italia i divieti pongono un limite sostanziale"

«Ancora una volta, la cronaca ci mette di fronte all’evidenza del fatto che questo tipo di ricerca sta andando avanti in tutto il mondo, con risultati molto promettenti. In Italia, invece, i divieti pongono un limite sostanziale», commenta Giuliano Grignaschi, portavoce di Research4Life.

«E, se è del tutto legittimo porsi dei problemi etici sull’allevamento di animali al solo scopo di prelevarne poi gli organi, dovremmo allora riflettere anche sui molti allevamenti da carne, nei quali oltretutto le condizioni di vita degli animali possono essere ben peggiori. Soprattutto, una riflessione etica coerente dovrebbe chiedersi se sia giusto fermare una ricerca che potrebbe salvare migliaia di persone, svantaggiando un gruppo di pazienti per mere ragioni politiche. La ricerca biomedica dovrebbe poter garantire la stessa dignità a tutte le persone malate».

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