Caso Ramy per il giudice l'inseguimento dei carabinieri fu "legale e doveroso"
Un inseguimento «legale e doveroso», espressione dell’adempimento di un dovere istituzionale di fronte a una guida «sempre più estrema», che ha messo in pericolo la vita del conducente, quella dei cittadini e degli stessi carabinieri
Caso Ramy per il giudice l'inseguimento dei carabinieri fu "legale e doveroso"
Un inseguimento «legale e doveroso», espressione dell’adempimento di un dovere istituzionale di fronte a una guida «sempre più estrema», che ha messo in pericolo la vita del conducente, quella dei cittadini e degli stessi carabinieri. Con queste motivazioni il giudice per le indagini preliminari di Milano, Fabrizio Filice, ha confermato la condanna a due anni e otto mesi per resistenza a pubblico ufficiale inflitta a giugno, con rito abbreviato, a Fares Bouzidi, il 22enne alla guida dello scooter su cui ha perso la vita Ramy Elgaml.
Nelle motivazioni depositate il 15 luglio, rese note solo oggi, il gip ricostruisce i fatti del 24 novembre 2004: un inseguimento durato otto chilometri, da via Moscova fino a via Ripamonti, concluso con la caduta del T-Max guidato da Bouzidi. Secondo l’accusa i militari sospettavano un tentativo di fuga dopo un furto, mentre l’imputato avrebbe agito per paura di essere fermato perché privo di patente.
Il giudice sottolinea come sia stata la fuga stessa ad attivare «l’obbligo degli agenti di polizia di intervenire per arrestarla», a prescindere dalle reali motivazioni, e che fosse «comprensibile che i carabinieri abbiano ipotizzato una ragione più grave di quella poi accertata». A rafforzare i sospetti, alcuni elementi riscontrati: il passamontagna indossato dal giovane, 850 euro in contanti e uno spray al peperoncino.
Le frasi pronunciate dai carabinieri "da contestualizzare nell'adrenalina del momento"
Le frasi pronunciate dai militari durante l’inseguimento – «vaffanculo non è caduto», «speriamo si schiantino sti pezzi di m…» – vengono definite «espressioni obiettivamente forti», ma da contestualizzare «nell’adrenalina del momento», e che «non si sono tradotte in alcun atto di ostilità». Anzi, i carabinieri «hanno immediatamente chiamato i soccorsi», cercando di rianimare Ramy e assistendo Bouzidi, che era semicosciente. Il giudice ha riconosciuto ai sei carabinieri, due dei quali rimasti feriti, un risarcimento di 2.000 euro ciascuno, sottolineando come abbiano avuto chiara «la percezione di grave pericolo» e siano stati sottoposti a un forte stress psicoemotivo, aggravato dalla pressione mediatica e da episodi di hate speech successivi ai fatti.