Luciana e Pamela, il filo rosso che lega il doppio femminicidio. Bruzzone: "Relazioni e stereotipi, serve educare sin dall'infanzia"

La criminologa Roberta Bruzzone analizza i due femminicidi che hanno scosso Milano: "Storie diverse, ma le unisce il tipo di relazioni che i loro uomini avevano instaurato. Prevenzione? Fondamentale. L'ora di educazione sessuale non basta". L'intervista

di Andrea Parrino

Luciana Ronchi, Pamela Genini e Roberta Bruzzone

Milano

Luciana e Pamela, il filo rosso che lega il doppio femminicidio. Bruzzone: "Relazioni e stereotipi, serve educare sin dall'infanzia"

Pamela Genini e Luciana Ronchi. Due donne, due storie molto diverse tra loro. Ma con un drammatico e violento epilogo che le accomuna. Entrambe sono state uccise dai loro ex compagni. A Milano, a pochi giorni l'una dall'altra. Un doppio femminicidio che ha scosso la città e che porta ad interrogarsi, nuovamente, su quanto ancora c'è da fare per giungere ad un reale cambiamento culturale, per fermare il lunghissimo elenco di moglie, compagne, amiche vittime della violenza maschile. "Sembrano storie molto diverse, ma hanno un unico filo rosso che le unisce, cioè il tipo di relazioni che gli uomini che stavano con queste donne riuscivano ad instaurare", commenta ad Affaritaliani.it Milano la criminologa Roberta Bruzzone. Che sottolinea l'importanza dell'educazione per "scardinare il sistema di violenza". A partire già dalle scuole dell'infanzia, "dove gli stereotipi di genere molto spesso sono già consolidati". L'INTERVISTA

 

Pamela Genini e Luciana Ronchi erano due donne molto diverse. Quanto è importante l’analisi del contesto di vita della vittima nella costruzione del movente?
Il contesto di vita ha sempre una sua rilevanza, ma non è il punto principale. Sembrano storie molto diverse, ma hanno un unico filo rosso che le unisce, cioè il tipo di relazioni che gli uomini che stavano con queste donne riuscivano ad instaurare. Il problema principale è capire con che tipo di uomini si sono accompagnate queste donne.

Alla luce dei referti, emerge che Pamela Genini aveva già denunciato aggressioni e che aveva risposto affermativamente al protocollo rischio violenza. Come interpreta il fatto che questa fase d'avvertimento non abbia però portato ad una protezione efficace?
Questo è un aspetto inquietante. Quella documentazione avrebbe dovuto far immediatamente scattare la segnalazione all’autorità giudiziaria. È fondamentale capire perché questa documentazione non sia arrivata sul tavolo delle autorità competenti.

Quali campanelli d'allarme vengono più spesso sottovalutati dalle forze dell'ordine?
Questi tipi di uomini hanno un’immediata propensione a controllare la propria partner in maniera esplicita. Il problema è che ci sono dei messaggi culturali, educativi e valoriali che continuano ad essere dominanti nel percorso educativo di molte famiglie.

Quindi secondo lei è importante l’educazione familiare che viene impartita nella famiglia?
È determinante. Di solito, questi uomini provengono da famiglie in cui gli stereotipi di genere sono ancora molto forti. È questo il grande problema.

Dalle indagini sul caso Genini è emerso che Gianluca Soncin, assassino di Pamela, facesse uso di droghe e le somministrasse anche a Pamela. Esiste una correlazione tra il consumo di droghe e gli atti omicidari?
Non è ciò che fa scattare le violenze. Certo è che se il soggetto ha delle problematiche personologiche, se è infarcito di cultura patriarcale e se, in più, assume delle sostanze che vanno a disinibire l’aspetto pulsionale, aumenta il rischio di un’escalation violenta.

In questi tempi si sta molto parlando della possibilità di inserire l’educazione sessuale nelle scuole. Lei cosa ne pensa?
Francamente, pensare che un'ora di educazione sessuale possa realisticamente diventare la soluzione a questo problema mi pare un po’ ingenuo. Secondo me, questa iniziativa è stata sovraccaricata di aspettative irrealistiche. È giusto trattare questi argomenti, ma non si può pensare che solo questa iniziativa possa scardinare un sistema di violenza.

Quanto è importante il ruolo della prevenzione?
È fondamentale. Se fossi io a decidere, investirei sulla prevenzione già dalle scuole d’infanzia, dove gli stereotipi di genere molto spesso sono già consolidati.

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