Milano, incontro alla Camera del Lavoro fra Stanzione (Cgil) e monsignor Delpini

L'importanza di un impiego, la dignità degli ultimi e la solidarietà al centro del faccia a faccia

di Roberto Servio

Luca Stanzione e Mario Delpini

Milano

Milano, incontro alla Camera del Lavoro fra Stanzione (Cgil) e monsignor Delpini

Oggi incontro molto atteso alla Camera del Lavoro tra il segretario della Cgil milanese Luca Stanzione e l’arcivescovo Mario Delpini. Stanzione, nel suo intervento ha spiegato “Perché oggi lei e io siamo qui insieme? Se fossimo in un altro tempo, qualcuno potrebbe dire che oggi si  incontrano due mondi, due comunità, due persone con storie, biografie, ruoli ed esperienze più lontane che sovrapponibili. Forse qualcuno in  sala è stato incuriosito proprio da questa diversità ed è entrato qui  chiedendosi che cosa abbiano in comune - cosa abbiano da dirsi - l’Arcivescovo di Milano e il Segretario Generale della Camera del  Lavoro. Il rappresentante più illustre della Chiesa di Milano, che guida  la comunità cattolica della città motore economico del Paese e quello  di chi pratica la contrattazione, la rivendicazione e il conflitto come metodo per affermare i diritti delle persone”.

Il segretario della Cgil ha parlato poi di “una consonanza umana e ideale, lo stesso patimento umano: la  difficoltà, di fronte alla sofferenza della terra, della città e delle  persone, a tenersi dentro le parole. L’impossibilità di farlo, assieme però alla strenua determinazione a non usarle mai a sproposito. Mai come pietre, semmai come mattoni. Ma quali sono queste parole che abbiamo usato? Senza lavoro non c’è cittadinanza piena. “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.” Non fondata sulla rendita, non fondata sulla speculazione, non fondata sul privilegio. Fondata sul Lavoro. E la dignità del lavoro significa che nessuno deve essere costretto a  scegliere tra salute e salario, tra diritti e occupazione. Significa che il  lavoro non è merce, non è solo un costo da tagliare o una variabile da  comprimere”. 

Nel discorso alla città, il 6 dicembre 2022 – ha proseguito il sindacalista - lei ha detto: “L’impegno che  trova motivazione nell’inquietudine e nel realismo della speranza si  chiama politica”. Ecco, noi che tutti i giorni ci impegniamo a fianco dei lavoratori, per la solidarietà e la giustizia sociale, non possiamo non riconoscerci in queste parole e provare insieme a lei ad andare persino oltre. Quella che per molti è un’emozione negativa, da rifuggire, può essere infatti un grande motore per rimanere ancorati, saldi nella propria umanità e non accontentarsi dello status quo: da lei raccogliamo  l’idea di un’inquietudine che fa brillare il nostro senso di giustizia e non  ci fa girare dall’altra parte di fronte alle persone. L’inquietudine ci  accomuna perché non si limita a sfidare il nostro equilibrio, ci induce a  metterci in cammino per cambiare le cose.

Infine il Suo richiamo alla responsabilità delle classi dirigenti di fronte alla stanchezza della terra, della città e delle persone. Senza  responsabilità condivise non c’è società giusta, senza rispetto dei ruoli  che ciascuno occupa e dei compiti a cui ciascuno di noi è chiamato non  può esserci comunità. La classe dirigente in questo senso è chiamata al  compito più difficile, e non può rinunciarvi”. Poi la riflessione sulla città: “C’è un aspetto delle nostre vite che ci accomuna, che accomuna il delegato sindacale in un’azienda, il sindacalista con un pastore: la  prossimità. Siamo prossimi alle persone che ci attraversano e le nostre pratiche attraversano le persone. Siamo prossimi, non significa “vicini” ma legati nello stesso abbraccio con le persone che  incrociamo. Questo ci rende credibili. Essere credibili significa che le persone credono nell’importanza delle nostre organizzazioni perché sono coerenti. Perché praticano l’esempio, fanno delle proprie convinzioni e idee la propria vita. E forse, dico con umiltà, forse, questo ci rende meno fragili di altri.  Meno fragili di chi ambisce a rappresentare ma rimane senza delega. Noi non ci chiamiamo fuori, noi non ci sentiamo esonerati, non ci sentiamo liberati da quest’obbligo. Sentiamo di dover fare la nostra parte. Ma possiamo fare la nostra parte se il Lavoro viene  riconosciuto come valore, come soggetto che è dotato di una sua voce, di una sua rappresentanza, è in quel momento che il Lavoro  può essere chiamato a corresponsabilità nella direzione di una  comunità. Un Lavoro invisibile, disconosciuto, deriso, oppure  peggio: persone che lavorano che non vengono riconosciute, né  come persone e neppure come lavoratori organizzati sono reietti  dalle classi dirigenti.

Singoli a cui si chiede unicamente di obbedire  e non di pensare, progettare, inventare, sognare, amare il proprio  posto di lavoro, la propria società, i legami che la tengono assieme.  Ed è così che le persone sole si incattiviscono”. E poi ancora: "Bisogna mettere l’orecchio a terra e sentire le pulsioni che arrivano dalla città. Dalla città spesso si levano delle grida. È stato un grido  quello delle ore successive alla morte di Ramy al Corvetto, sono  state grida quelle delle piazze di venerdì scorso, è un grido quello  che viene da Letterio Buonuomo che a 71 anni si uccide dopo uno  sfratto esecutivo. Grida”. 

Poi, concludendo, Stanzione ha scandito: “Siamo entrambe difensori della necessità che ogni uomo e ogni donna abbia un orizzonte di senso, una vita piena, uno scopo per il  suo tormento di vita”. Delpini ha ricordato: “Sono qui per dirvi che vi stimo per ciò che rappresentate. Il sindacato e cosa che merita grande attenzione”.  Dobbiamo contrastare “l’individualismo egocentrico, che induce alla frantumazione della convivenza, una finanza che punta al saccheggio delle risorse. Con finalità di profitto”. Ma quale strada prendere? Si è chiesto Delpini. Quella “del lavoro come luogo dove si incontra l'opera di una persona e la società. Oggi il lavoro si è ammalato”.

E’ diventato uno strumento per guadagnare il successo occorre trasformarlo nella volontà per costruire il bene comune. Tra gli obiettivi “comuni” l’arciverscovo di Milano ha ricordato: “la solidarietà che oggi è senza voce”, “nuovi percorsi di formazione, per camminare insieme, alimentando una visione positiva”. “Occorre “una vita meno frenetica, più lenta. Più vicina al bene delle persone”.  

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