Milano, Scalfarotto (Italia Viva): "Siamo nella città del riformismo, non lasceremo il centrosinistra"
Il presidente milanese di Italia Viva Ivan Scalfarotto: "Porte aperte da Forza Italia? Poi finiscono sempre per allinearsi a Giorgia Meloni. Candidato sindaco, un nome politico non è per forza meno qualificato di un civico". L'intervista
Milano, Scalfarotto (Italia Viva): "Siamo nella città del riformismo, non lasceremo il centrosinistra"
Dopo il naufragio del Terzo Polo, Italia Viva sembra ormai aver scelto di sostenere con convinzione il centrosinistra, “l’unica alternativa al governo delle destre, l’unica possibilità di mandar via Giorgia Meloni da Palazzo Chigi”. Lo confermano le parole del senatore Ivan Scalfarotto, presidente del partito a Milano. Per le comunali 2027, IV rivendica il proprio ruolo: “Milano è la città del riformismo. Non la si può governare senza una componente riformista forte”. Mentre Azione sembra più orientata ad aprire al centrodestra. Su questo Scalfarotto è netto: “Se decidono di uscire dal centrosinistra milanese, dovranno spiegarlo agli elettori”. E a chi, come l’ex IV e oggi azzurro Filippo Campiotti, sostiene che i liberali dovrebbero guardare a destra, risponde secco: “Forza Italia finisce sempre per allinearsi a Giorgia Meloni. Il centrodestra, oggi, è sovranista, intollerante e giustizialista. Non è casa nostra”. L'intervista di Affaritaliani.it Milano
Naufragato il Terzo Polo, Italia Viva ha aperto al Partito Democratico, quale interlocutore affidabile e, forse, ponte con il resto del centrosinistra. Come si riflette ciò a livello milanese? IV, oggi, sostiene il sindaco Sala: siete soddisfatti? Nel 2027 aderirete nuovamente al progetto del centrosinistra?
Sono due piani parzialmente distinti. A livello nazionale, dopo il naufragio del Terzo Polo, abbiamo deciso di sostenere con convinzione il centrosinistra: l’unica alternativa al governo delle destre, l’unica possibilità di mandar via Giorgia Meloni da Palazzo Chigi. Un governo, quello di centrodestra, che riteniamo inadeguato. In tre anni non ha affrontato nessuno dei veri problemi del Paese: nessuna riforma strutturale, politica o economica. Solo provvedimenti identitari, che introducono nuove pene e nuove fattispecie di reato. L’urgenza nazionale, oggi, è mandare a casa Giorgia Meloni, e questo lo può fare solo una proposta credibile di centrosinistra.
A Milano, invece, parliamo di una storia diversa. La sinistra riformista, che IV incarna e rappresenta, sostiene da 15 anni l’amministrazione cittadina, dalle giunte Pisapia a quelle guidate da Sala. Milano è diventata una grande capitale europea, protagonista sul piano internazionale. Questo, certo, determina oggi nuove sfide: la vivibilità, il caro-casa, l’efficienza dei servizi. Ma non vedo alcun motivo per uscire da una coalizione che ha funzionato molto bene.
IV, quindi, si posizionerà saldamente nel centrosinistra anche alle elezioni comunali di Milano del 2027. Ma preferite un civico o un politico? Per capirci: una Milano a guida PD sarebbe una buona Milano? E IV avrebbe la possibilità di incidere?
Quanto alla provenienza del futuro sindaco, io penso che sia l’ultima delle priorità da affrontare. L’importante è che, lui o lei, sia in grado di rappresentare tutte le anime della coalizione, che per definizione è plurale. Deve unire, non dividere, questo è il criterio. E avere la capacità di interpretare le nuove priorità della città: dopo cinque anni di Pisapia e dieci di Sala, serve aprire una nuova fase, in continuità, ma con uno sguardo aggiornato alle nuove esigenze.
Dopodiché voglio anche dire una cosa: va rivendicato il diritto della politica di esprimere candidature. Non è che un politico, per definizione, sia qualcosa di negativo o divisivo. Un politico può essere un ottimo sindaco. Non possiamo neanche trovarci a fare una sorta di conventio ad excludendum contro la politica in quanto tale. Chi sceglie di impegnarsi per la propria comunità attraverso la politica non è certo meno qualificato di altri. Essere un politico non deve essere né un requisito obbligatorio né un ostacolo.
La stampa, recentemente, si è interessata particolarmente alle correnti interne al PD. Se ne contano 11, tutte distinte dalla leadership di Elly Schlein. A questo proposito per IV, il PD è “solo” un buon alleato o c’è la possibilità che i liberali, i moderati e i riformisti al suo interno siano in cerca di una rappresentanza diversa, non per forza antagonistica al progetto di Elly Schlein?
Questo dovrebbe chiederlo a loro. Ma è chiaro che il PD, con Elly Schlein, oggi è fortemente spostato a sinistra, e l’anima riformista non è alla guida. In questo contesto, IV ha un ruolo fondamentale: essere il punto di riferimento per chi, pur considerandosi progressista, ha una visione più riformista, europeista e pragmatica. Soprattutto a Milano, città naturalmente orientata al riformismo. Senza una componente riformista non esiste un’alternativa vera alla destra, né a livello nazionale né a livello locale.
Dopodiché, lo ripeto, io non entro nelle dinamiche del PD, da cui sono uscito tempo fa. Osservo solo che in un contesto che vede il PD schierato così a sinistra è importante un contrappeso riformista. Senza la sua componente riformista il centrosinistra non ha speranze di mandare a casa Giorgia Meloni. Il nostro ruolo è chiaro.
Proprio ad Affaritaliani.it, Filippo Campiotti, ex segretario di IV Milano passato a Forza Italia, ha stigmatizzato il vostro spostamento a sinistra. Le chiedo: la casa dei liberali, dei moderati e dei riformisti milanesi è il centrodestra, come sostiene Campiotti?
Faccio i miei migliori auguri a Filippo Campiotti, ma credo che il suo invito cadrà clamorosamente nel vuoto. Le posizioni di Silvia Sardone o di Romano La Russa, sinceramente, non possono rappresentare una casa per chi si riconosce nei valori liberaldemocratici, riformisti ed europeisti. Riguardo a FI mi pare piuttosto evidente che, anche quando fa i suoi proclami progressisti e aperturisti, anche sul cosiddetto ius scholae, finisce sempre per compiere un passo indietro, allineandosi a quanto decide la Presidente del Consiglio. Lo abbiamo visto più di una volta. Rispetto la scelta di Campiotti, che ha lasciato IV perché si sente più a suo agio con il centrodestra, ma sono certo che la sua sia una posizione largamente minoritaria tra i nostri elettori. I nostri non condividono l’impostazione sovranista, spesso intollerante e giustizialista, che caratterizza oggi il centrodestra a trazione Fratelli d’Italia e Lega.
Quindi, senatore, Campiotti ha ragione quando descrive IV come un partito di sinistra?
IV è un partito progressista. Le politiche del governo di Matteo Renzi, che ha fondato il nostro partito, non erano certo di destra: erano politiche riformiste, europeiste, liberaldemocratiche, ispirate alla terza via. Né io né il nostro elettorato siamo mai stati di destra. Io stesso sono stato iscritto al PD e l’ho lasciato solo quando non mi sono più riconosciuto nelle sue scelte. Ma questo non mi ha reso un uomo di destra. Non ho simpatia per Trump, non ho simpatia per il sovranismo. E credo che questo valga per larga parte dei nostri dirigenti e dei nostri elettori.
Le parole di Campiotti sono rivolte, evidentemente, anche ad un altro attore fondamentale, che con voi ha condiviso un progetto politico: Azione. Il partito di Calenda risponderà favorevolmente? Come valuta le apparenti aperture al centrodestra?
Per quanto riguarda Azione, è vero: abbiamo condiviso un percorso politico, ma oggi sembrano fare scelte diverse. In Parlamento, Calenda ha mostrato aperture verso Giorgia Meloni, e a Milano hanno parlato – almeno – di un possibile candidato terzo, se non proprio mostrato aperture nei confronti del centrodestra. Noi non vediamo alcuna ragione per lasciare il campo in cui abbiamo operato, e con noi anche Azione, per quindici anni. Se loro decideranno di uscire dal Centrosinistra milanese – di cui ad oggi fanno parte – dovranno dare spiegazioni agli elettori. Noi ci restiamo, per convinzione politica, non per tattica.
Concludendo, che sia verso il centrosinistra o verso il centrodestra, liberali, riformisti e moderati saranno l'ago della bilancia delle elezioni comunali di Milano?
Assolutamente sì. Milano è la città del riformismo. Non la si può governare senza una componente riformista forte. Se vincesse il centrodestra, significherebbe snaturare l’identità della città, la sua apertura al mondo, la sua vocazione al futuro. Per questo sono convinto che il centrosinistra tornerà a vincere, e lo farà valorizzando la sua anima riformista. Quella sarà la vera chiave.