Paderno, padre, madre e fratellino uccisi con 108 coltellate: "Voleva raggiungere l'immortalità"

Le motivazioni della condanna a 20 anni nei confronti di Riccardo Chiarioni, che ha sterminato la famiglia nel 2024

di Giorgio d'Enrico

Strage famigliare a Paderno Dugnano

Milano

Il Tribunale per i minorenni ha condannato a 20 anni di reclusione Riccardo Chiarioni, il 17enne che nel 2024 a Paderno Dugnano uccise padre, madre e il fratello di 12 anni con 108 coltellate. I giudici hanno escluso il vizio parziale di mente, pur riconoscendo un disturbo psichiatrico e la necessità di cure. La difesa, guidata dall’avvocato Amedeo Rizza, annuncia ricorso in appello, sottolineando che la perizia aveva accertato una capacità di intendere e volere compromessa.

Paderno, padre, madre e fratellino uccisi con 108 coltellate: "Voleva raggiungere l'immortalità"

Il 27 giugno 2024 Riccardo Chiarioni, all’epoca 17enne, è stato condannato a 20 anni di carcere per la strage di Paderno Dugnano. La giudice Paola Ghezzi, nelle 51 pagine di motivazioni, ha definito il giovane "guidato da un pensiero stravagante e bizzarro", volto a raggiungere "l’immortalità attraverso l’eliminazione della propria famiglia". Per i giudici, però, nonostante il disturbo psichiatrico riconosciuto, il ragazzo "ha distinto la realtà dall’immaginazione", mantenendo il controllo e programmando "lucidamente" le proprie azioni prima, durante e dopo il massacro.

La ricostruzione della strage di Paderno Dugnano

Le motivazioni raccontano una vicenda che ha sconvolto quella che appariva come una "famiglia normale", senza un movente chiaro. Lo psichiatra Franco Martelli, nella perizia, ha descritto Chiarioni come diviso tra realtà e fantasia, convinto che per accedere al suo "mondo dell’immortalità" dovesse liberarsi dei legami affettivi. Lo specialista ha segnalato aspetti "disfunzionali", come l’alessitimia e una "divisione psichica della personalità". Tuttavia, per la giudice, durante le diverse fasi dell’omicidio non sono emerse "condizioni di instabilità o ingovernabilità", ma al contrario un piano coerente e razionale.

Il Tribunale sottolinea come l’aggressività del gesto rifletta stati emotivi profondi: "potenti stati emotivi, una grossa dose di rabbia ed odio narcisistici, accumulati ad ogni frustrazione". Una spiegazione che per la giudice chiarisce "l’accanimento e la varietà delle lesioni", soprattutto contro la madre e il fratello minore, colpiti con particolare ferocia.

Il 17enne "manipolatore" e attratto dal nazismo

Il 17enne era un "manipolatore", che ha progettato gli omicidi "nei minimi dettagli", che ha manifestato "scaltrezza" nel "tendere la trappola per uccidere i genitori nella sua cameretta e non nella camera matrimoniale", dopo aver già colpito il fratellino. E che ha agito in modo "sconcertante" colpendo tutti e tre in "modo cruento", infliggendo loro "numerosissime coltellate, infierendo sui loro corpi esanimi ed anche colpendo alle spalle il padre, dopo aver dato l'impressione di volersi fermare successivamente all'aggressione al fratello ed alla madre".

Nella sentenza si mette in luce anche "la condotta tenuta immediatamente dopo il delitto" orientata "ad eludere le investigazioni per garantirsi l'impunità: dapprima il piano prevedeva di far ricadere la colpa sulla madre, poi sul padre ed infine su di sé, ma soltanto dopo aver avuto la certezza, attraverso il nonno, che gli investigatori non avessero creduto alla versione fornita in prima battuta ai soccorritori". Il giudice ricorda anche, come era già emerso, che dall'analisi dei dispositivi del ragazzo erano emerse immagini, come la foto del Mein Kampf, o "esternazioni di pensiero comprovanti la sua inclinazione verso l'ideologia fascista", nazista e "omofoba".

 

La difesa del giovane ha annunciato ricordo in appello: "Non è stata valutata la sua patologia"

L’avvocato Amedeo Rizza ha annunciato ricorso in appello, contestando la sentenza: "Il giudice non ha preso atto della concreta incidenza e del nesso di causalità che c’è tra la patologia di Riccardo e il reato commesso". La difesa richiama la perizia che aveva accertato un vizio parziale di mente, quindi una capacità di intendere e volere compromessa. "Pur riconoscendo il disturbo e la necessità di cure – aggiunge – il Tribunale ha comunque inflitto la pena massima prevista per i minorenni in abbreviato".

La condanna a 20 anni, con attenuanti generiche e rito abbreviato, rappresenta il massimo della pena possibile per un minorenne. Dopo il deposito del ricorso, la vicenda approderà davanti alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la posizione di Chiarioni, oggi prossimo ai 19 anni.

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