Motus-E: 5 mosse per ricariche più economiche e rete capillare

Motus-E presenta il Manifesto della Ricarica: cinque mosse per più colonnine, costi più bassi e rete autostradale completa, accelerando l’elettrico in Italia.

di Giovanni Alessi
Auto e Motori

Cinque azioni concrete per rendere la ricarica più semplice, diffusa e conveniente.

È la rotta indicata da Motus-E nel paper “Ricaricare l’Italia: manifesto per un’infrastruttura strategica per il Paese”, presentato a Istituzioni e stakeholder con un obiettivo chiaro: colmare il ritardo italiano nella diffusione delle auto elettriche e trasformare la rete di colonnine in un abilitatore di competitività, lavoro e innovazione.

Dal 2019 a oggi gli operatori hanno investito oltre 1,8 miliardi di euro, installando più di 70.000 punti di ricarica a uso pubblico. Numeri importanti, frenati però da un mercato BEV che in Italia vale appena il 5,2% nei primi nove mesi dell’anno, contro una media europea oltre tre volte superiore. Il risultato è un paradosso: una filiera della ricarica che ha già dimostrato di saper attrarre capitali e riqualificare aree urbane, ma che fa i conti con iter autorizzativi disomogenei, tariffe regolate che comprimono i margini e, soprattutto, con un tasso di utilizzo ancora modesto. “La rete di ricarica è un fattore abilitante imprescindibile della nuova mobilità, ma oggi si scontra con enormi criticità”, osserva il presidente Fabio Pressi. “Il nostro Manifesto è una piattaforma tecnica da cui partire per intervenire subito su cinque punti chiave.”

Il primo riguarda il costo dell’energia. Per abbassare i prezzi alla colonnina, Motus-E chiede di allineare i costi di approvvigionamento energetico degli operatori agli altri grandi Paesi UE. L’obiettivo è trasferire ai conducenti il beneficio di prezzi più bassi e stabili, aumentando la fiducia nella ricarica pubblica e riducendo il divario fra ricarica domestica e on-the-go. In un mercato in cui ogni centesimo conta, una struttura di costo più efficiente è la premessa per piani industriali credibili e per una vera concorrenza sulle tariffe.

Il secondo pilastro è la semplificazione. Troppi passaggi, troppe variabili da Comune a Comune rallentano l’attivazione di nuove stazioni di ricarica. Il Manifesto chiede un intervento normativo e regolatorio che acceleri le connessioni e renda effettiva, senza deroghe, l’applicazione della direttiva RED III sulla decarbonizzazione dei trasporti. Tempi certi, modulistica standard e responsabilità chiare riducono il rischio d’impresa e sbloccano cantieri: è la logica dell’“infrastrutturazione per atti”, non per annunci.

Il terzo punto è la copertura completa delle autostrade. L’asse Nord-Sud e le grandi dorsali del trasporto merci devono poter contare su HPC ad alta affidabilità, aree sicure, servizi e manutenzione programmata. Senza una rete ultra-rapidalungo le arterie strategiche, l’elettrico resta percepito come urbano; con una dorsale potente, invece, diventa scelta naturale per flotte e lunghi viaggi, con benefici immediati su emissioni e costi operativi.

C’è poi il tema delle concessioni. Cicli di investimento decennali su hardware e connessioni richiedono orizzonti regolatori coerenti: concessioni fino a 20 anni permettono di pianificare, ammortizzare e innovare con continuità, evitando il circolo vizioso di bandi brevi, soluzioni provvisorie e manutenzione al ribasso. Per gli utenti significa più qualità e disponibilità, per gli operatori un terreno su cui competere con servizi e prezzi.

Quinto tassello: governance centralizzata e pianificazione basata sui dati. Un cruscotto nazionale, alimentato dagli operatori, dalle utility e dalle amministrazioni, consente di mappare domanda e offerta, calibrare incentivi, prevenire i “buchi neri” di copertura e indirizzare gli investimenti dove servono davvero. È anche lo strumento per monitorare l’avanzamento verso gli obiettivi del PNIEC aggiornato nel 2024: 6,6 milioni di veicoli ricaricabili al 2030, di cui 4,3 milioni elettrici puri. Oggi in circolazione se ne contano poco più di 330.000, più un bacino simile di plug-in: senza una rete densa, competitiva e affidabile, quel traguardo rischia di restare sulla carta.

La cornice europea non aspetta. Mentre in UE si discute ancora di scadenze al 2035, “nel mondo una nuova auto su cinque è già 100% elettrica”, ricorda Pressi. Il dibattito sulle date lascia il tempo che trova se l’industria non può contare su regole chiare e su una politica industriale orientata all’innovazione. L’ultima ondata di incentivi in Italia ha mostrato che l’interesse dei consumatori c’è: quando l’offerta è ampia, i tempi di ricarica si riducono, i costi scendono e la user experience migliora, le immatricolazioni rispondono. Tocca alla rete pubblica essere all’altezza, perché la scelta dell’auto non si gioca solo in concessionaria, ma nel quotidiano di chi guida.

In questo senso, la ricarica non è un capitolo separato, ma il cuore della promessa EV. Colonnine ben distribuite nei quartieri, hub DC fast in prossimità di snodi metropolitani, stazioni HPC in autostrada, trasparenza delle tariffe, interoperabilità e pagamenti semplici: quando questi fattori si sommano, l’elettrico diventa la soluzione più naturale, non un percorso a ostacoli. Per gli operatori, la sfida è trovare il punto di equilibrio fra investimenti, qualità del servizio e sostenibilità economica in una fase in cui i tassi di utilizzo sono ancora in crescita. Per la Pubblica Amministrazione, la responsabilità è assicurare cornici stabili, sportelli unici e una programmazione che guardi ai flussi reali, non solo alle mappe politiche.

Se l’Italia non vuole restare “Paese di Serie B” nel mercato automobilistico, la rotta è dunque tracciata: ridurre i costi dell’energia allineandoli all’Europa, semplificare davvero le procedure, chiudere la partita delle autostrade, garantire concessioni adeguate e costruire una governance che misuri, indirizzi e corregga. Solo così la ricarica diventa la leva per far scendere i prezzi agli automobilisti, sostenere la domanda e mettere a terra — oggi, non domani — gli obiettivi del PNIEC. È un patto che chiama in causa industria, istituzioni e territori. E che può generare valore ben oltre i kWh erogati: riqualificazione urbana, nuova occupazione, innovazione nei servizi, competitività delle nostre filiere.

La partita si gioca ora, nei prossimi mesi, in cui la crescente offerta di modelli in tutti i segmenti incontrerà una retesempre più capillare. Se le cinque mosse del Manifesto della Ricarica diventeranno politiche operative, l’elettricosmetterà di essere “l’eccezione” italiana e potrà finalmente allinearsi al ritmo europeo. È il momento di passare dal dire al fare: la transizione non aspetta, e il Paese ha tutto da guadagnare.

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