Meloni dietro la telefonata Trump-Ursula che ha posticipato i dazi all'Ue. Così la premier ha messo Macron nell'angolo (e ha zittito Conte e Schlein)

Ora la leader di FdI si concentra sul viaggio in Asia centrale

Di Alberto Maggi
Politica

Meloni sa che Trump è imprevedibile e che il negoziato sarà durissimo, ma sa anche che soltanto lei avrebbe potuto creare le condizioni perché si svolgesse e conta che alla fine questo le verrà riconosciuto, sia a Washington che a Bruxelles


È proprio vero che a volte una telefonata allunga la vita. Deve averlo pensato Giorgia Meloni una volta avuta conferma della chiamata intercorsa ieri sera tra Ursula Von der Leyen e Donald Trump. Ci aveva lavorato tutto il giorno la premier, di sponda con il vicepresidente americano JD Vance, già protagonista dell’ormai celebre trilaterale con Giorgia e Ursula nelle ore della intronizzazione di Papa Leone XIV che aveva certificato il ruolo da pontiere di Meloni tra le due sponde dell’Atlantico.

Una telefonata che è servita, pare, a scongiurare l’applicazione di extra-dazi al 50% dal 1 giugno annunciati dal tycoon in un momento di collera anti-Ue e a confermare la data del 9 luglio come termine ultimo per il negoziato. Meloni si è assunta il rischio politico di questo ruolo: sa che Trump è imprevedibile e che il negoziato sarà durissimo, ma sa anche che soltanto lei avrebbe potuto creare le condizioni perché si svolgesse e conta che alla fine questo le verrà riconosciuto, sia a Washington che a Bruxelles.

La telefonata che allunga la vita ha un forte riflesso europeo, con un Macron che appare in difficoltà per il protagonismo di Meloni (sempre ben consigliata dalla sorella Arianna). E ha anche un effetto interno, facendo scolorire le critiche di Schlein e Conte a Meloni. Almeno così ritengono a Palazzo Chigi dove si ironizza sul fatto che, ogni qual volta i leader della sinistra denunciano il presunto isolamento meloniano, lei rilancia con nuove mosse che ne certificano invece la centralità. “Post invecchiati male e molto in fretta”, li definiscono i colonnelli meloniani, che pure non nascondono la preoccupazione crescente non solo sui dazi ma anche sugli scenari di guerra nei quali la mediazione trumpiana non sta portando risultati.

Tanto che nella notte Trump ha attaccato duramente Putin per gli ultimi bombardamenti ma non ha risparmiato critiche neppure a Zelensky. Contava di ricondurre davvero Mosca alla pace, così come contava di indurre Netanyahu al cessate il fuoco a Gaza, e invece la guerra va avanti in Ucraina come in Palestina. Intanto Meloni riprende a tessere la sua tela geopolitica, ripartendo dal viaggio in Asia centrale annullato qualche settimana fa per le esequie di Papa Francesco. È importante - pensano a Palazzo Chigi - intensificare le relazioni bilaterali con Paesi come Kazakistan e Uzbekistan, per dare loro alternative all’abbraccio unilaterale con Mosca e per partecipare da protagonisti al gran ballo delle risorse energetiche e minerarie. Soprattutto nel nuovo mondo dell’”amico” Trump è bene avere pronto un piano B.

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