Pd, Schlein blindata (per ora). Ma c'è l'incubo flop alle Regionali. Dimissioni (o cacciata) e congresso con un nuovo leader riformista
Al momento Elly regge nonostante il ko ai referendum, però...
La segretaria del PD Elly Schlein ieri al seggio
Pd, Schlein ora i numeri per restare segretaria. Ma se le Regionali vanno male (complice anche il terzo mandato) rivoluzione nel Centrosinistra
Anticipare il congresso del Partito Democratico, con relative primarie di popolo nei gazebo in tutta Italia, subito all'inizio del 2026, a gennaio immediatamente dopo le feste di Natale. Un anno e mezzo circa prima della scadenza naturale. E' questa l'idea che ha in mente Elly Schlein dopo la batosta subita ai referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza con un'affluenza sotto il 30% (compresi gli italiani all'estero) e con i SI' che sono stati inferiori al numero di elettori del Centrodestra alle elezioni politiche del 2022 (nemmeno l'obiettivo minimo è stato raggiunto).
La segretaria ora deve fronteggiare il fuoco di fila della minoranza riformista e moderata sul piede di guerra per l'appiattimento sulla sinistra di AVS, e in parte del M5S, e soprattutto sulla CGIL di Maurizio Landini (altro grande sconfitto che non ci pensa proprio a dimettersi). L'opposizione interna ha chiesto un chiarimento in tempi rapidi, entro due settimane, sulla strategia politica e anche su quelle delle alleanze. Ma - come spiegano fonti Dem - sia nella segreteria che nella direzione nazionale - Schlein ha nettamente la maggioranza ed è quindi impossibile che ci sia un ribaltone ai vertici del Pd. Almeno per ora.
Con le elezioni regionali tra quattro mesi (quasi certamente in ottobre) nessuno dei Dem si spinge fino a chiedere un nuovo congresso ora che comunque non si potrebbe fare in agosto con moltissimi italiani in vacanza. Ed è proprio questa l'arma della leader del Pd e cioè arrivare alle Regionali e vincerle 4 a 1 (tutte tranne il Veneto ed escludendo la Valle d'Aosta che è un mondo a parte) per poi andare a primarie e congresso per ottenere la riconforma forte dell'esito elettorale.
Ma qualcosa potrebbe andare storto. Se la riconferma di Eugenio Giani in Toscana appare quasi certa così come il successo di Antonio De Caro in Puglia (ma mai dire mai prima delle elezioni) molto complessa rischia di essere la partita nelle Marche dove la segretaria Dem punta a riconquistare la regione in mano al meloniano Francesco Acquaroli con l'ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci. Sarà una sfida all'ultimo voto, stando ai sondaggi, e molto dipenderà dalla strategia delle alleanze. Appunto, le alleanze.
Il possibile ripensamento della premier, sempre ben consigliata dalla sorella Arianna Meloni, sul terzo mandato, oltre ad accontentare la Lega con la riconferma al 100% di Luca Zaia in Veneto, consentirebbe a Vincenzo De Luca di poter ricandidarsi in Campania. Peccato che in quella regione Schlein abbia già promesso di sostenere un candidato 5 Stelle (o l'ex ministro Sergio Costa o l'ex presidente della Camera Roberto Fico).
Se la presidente del Consiglio riuscisse a strappare il sì di Antonio Tajani (con importanti contropartite per Forza Italia) e ci fosse l'ok al terzo mandato per i Dem sarebbe un terremoto. De Luca candidato indipendente e il Pd insieme al M5S significherebbe quasi certamente perdere la guida della Campania che andrebbe al Centrodestra con probabilmente un candidato di Fratelli d'Italia (Edmondo Cirielli è l'ipotesi principale ma non l'unica).
Con questo scenario, se nelle Marche ci fosse la riconferma di Acquaroli e del Centrodestra, le Regionali finirebbero 3 a 2 per la maggioranza di governo, altro che il sognato e sperato 4 a 1. E a quel punto tutto cambierebbe. Molti segretari del Pd , da Walter Veltroni a Massimo D'Alema, sono caduti proprio sulle Regionali. E con un'altra sconfitta dopo quella dei referendum - bisognerà vedere anche con chi si alleerà Azione nelle varie regioni - molti big del Pd, incluso Dario Franceschini finora silente, staccherebbero la spina togliendo il sostegno a Schlein.
E a quel punto sarebbe lei stessa a dimettersi e se non lo facesse ci sarebbe la convocazione di un'assemblea straordinaria per farla decadere e andare a congresso e primarie con la sinistra Dem devastata e lacerata e la minoranza pronta a puntare su Paolo Gentiloni o su una figura femminile come Pina Picierno, la più dura nel commentare il flop ai referendum. Ora il presidente del partito Stefano Bonaccini, che è anche in teoria leader della minoranza, tace e si tiene defilato. Ma se arrivasse una clamorosa sconfitta alle Regionali, assicurano al Nazareno, anche lui chiederebbe una svolta radicale. Che includerebbe anche lo stop all'asse con il M5S e Alleanza Verdi Sinistra e a uno spostamento della linea politica più verso il centro.
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