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Chi è Giovanni Brusca, il mafioso scarcerato che causò la strage di Capaci e uccise oltre 150 persone
Uscito ieri dal carcere di “Rebibbia” Giovanni Brusca, colui che fece esplodere l’ordigno che uccise Giovanni Falcone nel 1992

Giovanni Brusca
Giovanni Brusca, da un passato segnato da centinaia di omicidi alla collaborazione con la giustizia
È tornato in libertà, dopo 25 anni di reclusione, l'uomo che azionò la bomba che uccise Giovanni Falcone. Si tratta del 62enne mafioso Giovanni Brusca, rilasciato ieri dal carcere di “Rebibbia” dopo aver scontato la sua pena, iniziata il 20 maggio 1996 quando fu arrestato dai poliziotti della squadra catturandi di Palermo.
Ma chi è Giovanni Brusca?
È colui che premette il telecomando dell’ordigno esploso il 23 maggio 1992, causando quella che passò alla storia come la strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Antonino Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
Ma non solo, il passato criminale di Brusca è talmente colmo di attività criminali da far venire i brividi. È lui l'omicida del piccolo Giuseppe Di Matteo, un bambino di 15 anni, sequestrato, tenuto in ostaggio per tre anni ed infine sciolto nell’acido solo perché suo padre, Santino, decise di cooperare con la magistratura.
Fu sempre lui, poi, che nel 1977 partecipò all'omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e nel 1983 allestì, insieme ad Antonino Madonia, l'autobomba impiegata per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli agenti di scorta.
Ancora, il 13 giugno 1983 Brusca si macchiò le mani del sangue di tre carabinieri: il capitano dei carabinieri Mario D'Aleo, comandante della Compagnia di Monreale e i colleghi Giuseppe Bommarito e Pietro Morici.
Fu lui stesso a dichiarare al giornalista siciliano Saverio Lodato: “Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento”.
Ieri è stato scarcerato, per volontà della Legge, grazie al suo pentimento e alla sua collaborazione con la giustizia iniziata nel 2000, che avrebbe permesso l’arresto di centinaia di mafiosi. Una decisione che di certo non è stata condivisa dai parenti delle vittime di mafia, che hanno dichiarato di sentirsi ancora più abbandonati dallo Stato.