Libri/ “Ho dodici anni, faccio la cubista. Mi chiamano Principessa”. L’autrice racconta ad Affaritaliani storie di piccoli bulli e lolite dalla doppia vita

ROMA - Quasi due anni fa un’inchiesta rivelò un aspetto incredibile sulle discoteche pomeridiane aperte dalle 16 alle 19 e frequentate da ragazzini tra i 10 e i 14 anni che uscivano di casa, con gli abiti di tutti i giorni, annunciando ai genitori visite ad amici, passeggiate in centro, cinema e che, varcata la soglia della discoteca, si trasformavano da cima a fondo: perizoma, pelle unta d’olio perché brilli, tiratissima, sotto le luci stroboscopiche, il seno appena coperto da un top invisibile. Queste principesse del pomeriggio ballavano su grandi cubi, mimando le pose oscene della lap dance. All’indagine seguì un grande scandalo con mobilitazioni anche a livello politico e di ordine pubblico. La giornalista Marida Lombardo Pijola de Il Messaggero l’ha trasformata nel libro 'Ho dodici anni, faccio la cubista. Mi chiamano Principessa' (Bompiani, pp. 243, € 12,00) “Entrando in discoteca - rivela ad Affari l’autrice - con dei trucchi visto che il passo era sbarrato agli adulti, genitori compresi, ho trovato questo mondo sconvolgente, precocemente sessualizzato dove bambine si esibivano seminude, mimando pose sessuali in maniera molto ambigua. Migliaia di bambini le fotografavano, le filmavano, cercavano di toccarle, urlavano: effusioni erotiche tutt’intorno sui divanetti. Mi sono chiesta se fosse un fenomeno di nicchia o se stesse cambiando legato alle discoteche o se fosse in atto una vera trasformazione delle abitudini di questi bambini senza che noi ce ne fossimo accorti. Ho deciso quindi di lavorarci su e dedicarci un libro”.

Ha parlato di accesso negato agli adulti: c’erano allora organizzatori consapevoli?
“C’erano (speriamo non ci siano più) dei proprietari che gestivano un business restando nell’ombra: la gestione diretta era affidata ai minorenni lasciati lì da soli con il pretesto di non sapere cosa fanno. Ragazzini di 12-13 anni fungevano da P.R. e distribuivano le prevendite e diciassettenni organizzavano l’intrattenimento e la vita delle discoteche al cui interno c’erano ambizioni di guadagno e di carriera, una sorta di riproduzione del rampantismo degli adulti: sesso, aspetto fisico, denaro, esibizionismo”.

Che forma ha preso l’iniziale inchiesta?
“Sono cinque storie vere e tra una storia e l’altra ho trascritto una serie di messaggi che i ragazzini si mandano su blog, forum e chat, selezionati su migliaia e raggruppati per argomento: un coro ossessivo dove si dicevano le stesse cose con il medesimo linguaggio. Le ho trasformati in racconti perché volevo manipolarli con delicatezza e sensibilità. Se, infatti, le avessi raccontati nella loro crudezza sarebbero stati veramente scioccanti e non sarebbe trapelato il fondo di solitudine, tristezza, angoscia e sentimento che c’è usando molta tenerezza e rispetto per loro per non sporcarli”

(Segue - Sono quasi bambini...)

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Verrebbe difficile chiamarli ancora bambini…
“Sono quasi bambini e il livello di maturità è quello: è come se avessero deciso di riformulare la loro infanzia, di saltare tutti i passaggi e di imitare gli adulti, ma non di crescere perché non sono come gli adolescenti che fanno un percorso di maturazione e si emancipano e staccano dal mondo adulto. Loro tentano di imitarlo nei modelli peggiori che hanno ricevuto con la celebrazione della doppia vita: sono capaci di nascondere totalmente alla famiglia quello che fanno fuori, vivendo tutto nell’omertà assoluta con uno sdoppiamento di personalità celando quello che accade anche a casa su internet che alimenta velocemente ogni cosa”

Si parla infatti anche di cyberbullismo…
“Il cyberbullismo è un fenomeno dilagante da lanciare un segnale d’allarme gravissimo con l’aggressione e la minaccia praticata on line con l’insulto e l’esibizione di filmini e registrazioni di cui andare fieri e che facciano da esempio e costituiscano prodezze”

Quale aspetto risulta sorprendemente più scioccante?
“La sessualizzazione: vivono il sesso sin dagli 11-12 anni come un gioco al di fuori di sentimenti e i primi indizi di interesse reciproco fra ragazzi e ragazze cominciano a 10 anni in quinta elementare. Lo vivono in maniera disinibita con la leggerezza con cui giocavano fino all’altro ieri e manipolavano i giocattoli che sono ancora nelle loro stanze; usano i corpi come se non appartenessero a loro e fossero altro da sé”

Come se fossero giocattoli di se stessi?
“Sì. È come se esaurito il consumismo commerciale perché appagati in tutti i desideri adesso fossero dediti a una specie di auto-consumismo, cioè il consumo dei propri corpi”

È rintracciabile una ragione di fondo?
“Tutto questo fa parte delle abitudini dei riti del branco: l’area principale di sviluppo più della famiglia e della scuola è diventato il gruppo dei pari che ha delle regole alle quali è necessario adeguarsi; dissociarsi equivarrebbe ad essere esclusi, emarginati: cosa per loro insopportabile perché sarebbe il vuoto. Nel branco cercano le certezze e le rassicurazioni che non trovano altrove”

Avvertono all’interno del branco un senso di appartenenza?
“Non è una comunità che si aggrega attorno a sentimenti, ideali, interessi comuni, una passione, un passatempo; è un gruppo che si aggrega per celebrare questi riti: il sesso, la droga, il fumo ormai diffuso nelle scuole, le pasticche come accessorio indispensabile per la discoteca, il bullismo come forma di organizzazione dei rapporti per cui chi è più trasgressivo impone le regole”

Che coscienza hanno degli scambi sessuali a pagamento?
“Sono uno dei tanti riti vissuti ma non con lo spirito della prostituzione. È un gioco che permette alle bambine di sentirsi valorizzate, di unire l’utile al dilettevole e per avvertire che il proprio corpo ha un valore e sentire di essere qualcosa, perché alla fine tutto fa capo ai vuoti, alla mancanza di riferimenti, passioni, emozioni e modelli”

Tutto questo spiazza genitori e scuola…
“Le figure dei genitori raccontate risultano piuttosto sbiadite e disattente con conflitti coniugali molto forti e i ragazzi sono cresciuti arrabbiati. I genitori poi non vogliono sapere e vedere. Molti insegnanti trovandosi davanti al gruppo hanno capito di più ma nei genitori trovano poca collaborazione e quando cercano di metterli in guardia si trovano spesso aggrediti e insultati, minacciati ed esautorati”

Giovanni Zambito


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