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Economia

L’appetito vien mangiando, così dopo Bottega Veneta, Sergio Rossi, Gucci e Brioni il gruppo Kering (nuovo nome di Ppr, gruppo del lusso francese controllato da Francois-Henri Pinault) mette a segno una doppia acquisizione in Italia: Richard Ginori, storica manifattura ceramica fiorentina rilevata per 13 milioni dal fallimento proprio da Gucci (che si propone di rilanciarla reintegrando da subito 235 lavoratori su 305 e mantenendo gli altri in cassa integrazione) e Pomellato, la cui quota di maggioranza è stata rilevata ieri notte direttamente da Kering dopo una lunga e intensa trattativa col fondatore, Pino Rabolini, e l’amministratore delegato Andrea Morante (ex banchiere d’affari di Credit Suisse First Boston divenuto socio dello stesso Rabolini in Ra.Mo. Spa, finora proprietaria dell’81% di Pomellato).

Tanto i francesi quanto gli italiani hanno espresso la più viva felicitazione per l’operazione, che nasce da una “giusta chimica”, come hanno ribadito sia Pinault sia Morante nella conference call congiunta che ha illustato stamane alla stampa mondiale l’operazione. Operazione che nasce da parte italiana dalla necessità di garantire un futuro ad un marchio “inventato” da Rabolini nel 1967 e da allora cresciuto (negli ultimi 18 anni assieme al “fratello minore”, Dodo) sino ad arrivare ai 146 milioni di euro di giro d’affari del 2012 (erano 102 milioni nel 2009), con una redditività (Ebitda margin) attorno al 15%-16% (intorno ai 22,5 milioni) ed una rete distributiva forte di 86boutique monomarca (di cui 45 Pomellato e 41 Dodo), a cui si affianca una distribuzione altamente selezionata presso circa 600 gioiellerie in tutto il mondo.

 

pomellato hathaway ape


 

Un futuro che data anche l’età di Rabolini (ormai ottantenne) e l’assenza di un erede in famiglia (il figlio di Rabolini è da anni impegnato in un’altra carriera) rischiava di farsi più incerto e che invece l’intervento di Kering dovrebbe garantire più che solido, vista l’intenzione, più volte sottolineata da Pinault e Morante (che con lo stesso Rabolini resta con una quota di minoranza nel capitale, così come la Sparkling della famiglia Damiani, oggi socia al 18%, con la quale non vi sarebbero stati contatti nel corso delle trattative), di rafforzare la presenza internazionale sia del marchio principale, pensato sin dall’inizio come un esempio di “pret-a-portaer” in ambito orafo, sia di Dodo, rivolto a una clientela più giovane.

Due marchi sui quali Rabolini ha voluto negli anni investire costantemente sia in termini di creatività, col lancio di una nuova collezione all’anno per ciascuno, sia di crescita organica della rete distributiva (per il 75%, tra cui la quasi totalità delle boutiques Dodo, diffusa in Europa, mentre un 10%-12% è rappresentato dagli Stati Uniti e la restante parte da negozi in Giappone, Cina ed Estremo Oriente come a Tokyo, Hong Kong, Singapore e Shanghai) e sui quali Kering conta di investire ulteriormente, anche perché è stata esclusa ogni sovrapposizione con l’altro marchio di gioielleria già posseduto dal gruppo francese, Boucheron,rivolto maggiormente al pubblico francese ma molto apprezzato anche in Cina.

L’obiettivo neppure troppo velato è quello di far diventare Pomellato un brand realmente “globale” come ad oggi solo Cartier, Bulgari e Tiffany possono dire di essere realmente. Per questo forse la trattativa più che sulla valutazione dell’azienda (che non è stato rivelata, ma secondo notizie circolate ancora negli ultimi giorni dovrebbe situarsi attorno alle 13-15 volte l’Ebitda margin, ossia attorno ai 300 milioni di euro per il 100% del capitale) sembrerebbe essersi concentrata nelle ultime fasi sui temi della futura governance. “Da un lato - ha confermato ad Affaritaliani una fonte vicina alle trattative - i dati forniti dagli italiani ai francesi hanno consentito lo svolgimento di un’accurata due diligence, sgobrando il campo da possibili incertezze, dall’altro il management, che viene confermato, voleva capire che tipo di aggregazione aveva in mente Pinault e di quali spazi di autonomia avrebbe goduto”.

Rispetto a precedenti acquisizioni di aziende francesi in Italia, infatti, l’operazione che porta Pomellato sotto le insegne di Kering dovrebbe svolgersi all’insegna della continuità gestionale e di una buona autonomia, come ribadito più volte anche in conference call. Il sogno di un “polo orafo italiano” accarezzato, almeno a parole, dalla famiglia Damiani sembra dunque definitivamente tramontato, a meno che tra qualche anno non sia possibile vederlo realizzato sotto bandiera francese. In fondo Kering resta in cerca di “nuove opportunità d’acquisto” pur se preferisce pensare alla futura crescita organica di Pomellato. Le minorities in mano ai Damiani potrebbero essere riacquistate in futuro (o, perché no, con cambiate nell’ambito di un accordo più ampio tra i due gruppi), per ora però questa resta “una possibilità ma non una priorità”. Parola di Henry Pinault.

Luca Spoldi

 

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