Fino ad ora, a Tesla è stato permesso di operare in Cina senza costituire una joint venture ad hoc (come invece devono fare altre società) e questo ha significato per l’azienda di Musk circa 6,6 miliardi di dollari di ricavi, oltre il 20% del totale. Ma il problema è che ora sembra che stia iniziando un certo ostracismo verso l’azienda. Il sospetto – ma da che pulpito… - è che le macchine, che sono tutte dotate di sistemi di intelligenza artificiale e di telecamere, possano fungere da “cavalli di Troia” per obiettivi sensibili. Tant’è che da marzo diverse caserme militari di Pechino hanno vietato di parcheggiare Tesla nelle vicinanze.
È chiaro che si tratta di scuse: la Cina ha sempre avuto bene in mente come gestire le rivoluzioni tecnologiche. Si aprono le porte agli stranieri, li si accoglie, si impara tutto quello che è possibile imparare e poi li si congeda, dopo aver appreso (e spesso anche migliorato) le tecnologie e le metodologie produttive.
Infine, una chiosa su Elon Musk: non è che il magnate sudafricano ha perso il suo tocco magico. Prova ne sia il successo di Space X, che doveva servire per portare la gente sulla Luna ma che, al momento, sta soprattutto collaborando con le agenzie spaziali per portare materiali sull’ISS, a costi più contenuti, garantendo soddisfazione sia per la Nasa che, ovviamente, per le casse dell’azienda.
Il problema del magnate sudafricano è che la sua idea di imprenditoria, aggressiva e provocatoria, deve essere sempre suffragata da fatti incontrovertibili. Tesla ha sì posto al centro del mondo automotive il tema della mobilità elettrica e, per certi versi, l’ha rivoluzionata. Ma diversamente da Apple che ha cambiato per sempre il modo di intendere i telefoni, affossando i competitor, l’azienda di Fremont non riesce ancora a imporsi come game changer. E ora rischia di essere superata sia in fatto di innovazione, sia per quanto concerne la sostenibilità.
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