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Esteri
Cina, Africa e il filo di perle

Di James Hansen

Alla fine di febbraio la Cina ha confermato di avere iniziato la costruzione della sua prima base militare permanente all’estero, a Djibouti, nel Corno d’Africa. Un portavoce del Ministero della Difesa cinese, il Colonnello Wu Qian, ha annunciato nel corso di una conferenza stampa a Pechino che: “Attraverso consultazioni amichevoli... abbiamo raggiunto un accordo che prevede la realizzazione da parte della Cina di ‘support facilities’ a Djibouti”.

I lavori, già partiti, sono affidati a personale cinese mandato dalla madrepatria. Secondo Wu, le “facilities”—ha preferito non utilizzare la parola base—serviranno per il supporto logistico e la manutenzione delle navi da guerra cinesi operanti nell’Oceano Indiano per la soppressione della pirateria somala e per le missioni umanitarie. Faranno anche venire i nervi all’India, ma questo l’ufficiale non l’ha detto. Djibouti—o, meno elegantemente in italiano, “Gibuti”—è uno staterello di 800mila persone posto all'estremità meridionale del Mar Rosso, presso lo stretto di Bab elMandeb. È una posizione altamente strategica che controlla l’imbocco del Mar Rosso e quindi l’accesso al Canale di Suez. Per i gibutiani, quella di ospitare basi militari altrui è una sorta d’industria locale. Sono già presenti, una accanto all’altra, simili support facilities della US Navy, della marina francese e anche della giapponese Maritime Self-Defense Force.

Per la Cina, l’installazione assisterà nella protezione delle sempre più importanti rotte di trasporto marittimo che permettono l’importazione di materie prime dall’Africa. Già operano nella zona sottomarini nucleari cinesi delle classi Shang e Song. I missili anti-nave YJ-18 di cui sono armati non sono considerati una dotazione caratteristica per la soppressione della pirateria e le missioni umanitarie.

La nuova base di Djibouti parrebbe in piena coerenza con la strategia d’espansione navale cinese nell’Oceano Indiano—poeticamente detta del “filo di perle”—che comprende per ora accordi di supporto portuale a Colombo, in Sri Lanka, e a Gwadar, in Pakistan. Secondo fonti giornalistiche, la Cina starebbe negoziando perfino con il Governo della Namibia allo scopo di impiantare una prima base navale sull’Oceano Atlantico, a Walvis Bay.

Questi sviluppi non sono sfuggiti all’attenzione della Marina Militare indiana, incline a vedere l’Oceano Indiano, se non esattamente come acque territoriali, certamente sull’uscio di casa. Quasi in coincidenza con l’annuncio cinese, fonti ufficiali di Nuova Delhi hanno fatto sapere che il primo sottomarino nucleare del Paese, l’INS Arihant, ha superato le prove in mare ed è pronto a entrare in servizio attivo. Altri due mezzi della stessa classe sono in costruzione a un costo di circa $2,9 miliardi ciascuno. Due ancora sono in fase di progettazione. Il primo della serie può portare 12 missili K15 Sagarika, di fabbricazione indiana e con una gittata di 700 km, oppure quattro missili balistici nucleari K-4, capaci di colpire bersagli a 3.500 km. Nemmeno queste armi si prestano molto alla soppressione della pirateria.

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