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Anziani abbandonati, Milano svegliati! Frank Matano è meglio del Welfare

Anziani abbandonati, Milano svegliati! Frank Matano è meglio del Welfare

La città ha 318mila over 65. Secondo l'ultimo censimento in 120mila vivono da soli. Questa è la storia della signora Carla di via Tertulliano, 89 anni e da più di un mese e mezzo sola, e di come uno youtuber sa come aiutare gli anziani soli meglio delle politiche sociali

di Francesco Floris per Affaritaliani.it Milano

La morale di questa storia è una sola: Frank Matano – attore, comico e youtuber – ha idee più brillanti delle politiche sociali milanesi e italiane per contrastare la piaga dell'abbandono in epoca di pandemia.

Ma partiamo dall'inizio. E l'inizio, è la storia della signora Carla. Vedova da 30 anni, fiere origini nell'Oltrepo pavese che mostra fin dai suoi gusti in fatto di vini: Barbera, ovviamente. A marzo, nel pieno della quarantena, ha spento in solitudine la sua 89esima candelina di compleanno. Da un mese e mezzo non mette piede fuori di casa. La pelle sotto i suoi gomiti è segnata e slabbrata da decenni di stampelle. “Mi hanno rovinato i medici. Quattro operazioni mi hanno fatto. Quattro, capisci?” racconta Carla affrontando l'unico argomento che ancora le accende una luce negli occhi e la voglia di discutere o litigare: il suo quadro clinico. Abita in un appartamento al primo piano. Scala C di un condominio in via Tertulliano. Uno di quei complessi da dieci torri e 200 appartamenti costruiti negli anni '50-'60. Che un tempo prendeva il nome di “Quartiere Roma”. Chiamato così perché edificato per accogliere nel capoluogo lombardo i dipendenti pubblici, i funzionari ministeriali e tutto quell'apparato burocratico giunto dalla capitale per essere il braccio operativo del governo nella Milano del dopo Guerra e del boom economico. Il condominio è tenuto bene. Abitato da gente ancora più per bene: bonari e simpatici dipendenti di Regione Lombardia nel campo informatico, ex sindacalisti combattivi alla Camera del Lavoro di Milano. Solo per citare i più attivi all'interno.

La signora Carla vive in questo contesto, apparentemente ottimale. Ma ha un problema. È sola. Da un mese e mezzo vede la figlia una volta ogni dieci giorni. Nemmeno a Pasqua, mentre cucinava asparagi, ha avuto compagnia. “Ho sempre fatto dei pranzi pieni di persone” dice piangendo al telefono. Del resto è difficile gestire un rapporto famigliare nella Milano del lockdown. Quando a tua madre vuoi un sacco di bene ma temi di infettarla, magari di ucciderla, con una disattenzione, con un colpo di tosse. Carla passa il suo tempo in quarantena a spaventarsi con le notizie di cronaca. L'ultima sua paura, in ordine di tempo, è che qualcuno – chi di preciso non è chiaro – la possa ricoverare forzatamente al Pio Albergo Trivulzio. Ha visto i servizi in televisione, nei programmi del pomeriggio, e immaginato il peggio per sé. Ogni giorno chiama noi. Tre ragazzi fra i 25 e i 30 anni, coinquilini in affitto (un freelance, una stagista, una commessa in cassa integrazione) che il 10 marzo hanno appeso alle porte del condominio un foglio con i numeri di telefono, dicendosi disponibili a fare commissioni urgenti – spesa o farmacia – per chi fosse in difficoltà dentro il palazzo.

Carla telefona e ci elenca i suoi gusti: gelato allo yogurt ai frutti di busco (introvabile nei mini market sotto casa); tachipirina da mille perché “non ho dormito l'altra notte per il dolore”; dado da cucina Star; cracker Gran Pavesi senza sale. “Ti avevo detto quelli blu” grida arrabbiandosi per aver ricevuto un altro marchio rispetto al suo preferito. Voltaren gel e arnica antinfiammatoria. Da comprare, sì, ma non nella farmacia sotto casa. Lì “costa 6 euro in più”. E quindi per un tubetto si va alla para farmacia nell'ipercoop di Viale Umbria e si affronta una coda di mezz'ora con tanto di tessera sanitaria e codice fiscale della signora. Perché “devo scaricare dal reddito. L'anno scorso ho speso più di 2.500 euro in farmaci e ticket”. Carla non ordina mai tutto assieme. Non fa una lista della spesa valida per l'intera settimana come la logica vorrebbe. Preferisce un rapporto quotidiano con i suoi fattorini personali. Le uniche persone che, al momento, la ascoltano. L'impressione è che talvolta combini appositamente dei “casini” solo per poterci incontrare, per quanto mascherati e con le mani inguantate dal lattice. Come il giorno in cui telefona perché “la tenda della finestra si è staccata ed è caduta in terra”. Una tenda che ha retto per trent'anni e ha deciso di staccarsi proprio ora, nel momento meno opportuno. Dopo qualche giorno ci appare chiara una cosa: Carla in realtà non ha bisogno di cibo o mansioni domestiche. Chi è del resto che si nutre solo di cracker, dado e gelato – gli unici beni che chiede periodicamente da settimane – senza mai “ordinare” nemmeno un pacco di pasta, uno di riso o due fettine di carne? Nessuno. E quindi la realtà è che lei vuole soltanto essere ascoltata. Il cibo probabilmente glielo porta anche qualcun altro.

Quante sono le anziane come Carla “abbandonate” a loro stesse a Milano? Che cosa stiamo facendo per loro, come comunità, come amministrazione pubblica, come terzo settore e onlus? La risposta è: un sacco di cose, tutte scoordinate, ed è proprio questo il problema. Ma partiamo dai numeri: un'anagrafe dettagliata degli “anziani soli” a Milano non esiste. L'amministrazione pubblica insieme all'Ats ha realizzato “l'anagrafe della fragilità” che tuttavia comprende varie categorie di persone e di problematiche differenti. Dal sistema statistico del Comune di Milano è invece possibile ricavare quanti sono gli anziani residenti: l'anagrafe al 31 dicembre 2018 fotografa 318.165 persone con più di 65 anni di età. Su 1,4 milioni di residenti totali. I due milanesi più anziani, a quella data, sono una persona di 109 anni e una di 110. Quanti di loro vivono soli? L'ultimo dato disponibile è quello del censimento 2011: mostra che il 33,7 per cento di questa popolazione vive in solitudine. Con la proporzione di 10 anni fa significa che oggi 117.721 over 65 vivono in un casa senza nessun altro accanto. Magari con problemi sanitari, lievi disabilità o patologie legate alla salute mentale. Ipotizziamo pure che la metà di loro siano a carico di case di cura, di riposo, ospizi, Rsa e altre strutture e tralasciamo invece chi ha un assistente domiciliare o una badante. Che per ovvie ragioni ora non può lavorare. Rimangono comunque 60mila persone. Che come la signora Carla, ogni giorno, hanno bisogno di parlare più ancora che del pane.

Iniziative di supporto psicologico destinate anche a loro ne sono fiorite a mazzi in queste settimane. Tante. Forse troppe. Sparpagliate e scoordinate l'una con l'altra. Solo a guardare i comunicati stampa: l'azienda sanitaria Santi Paolo e Carlo con il proprio Dipartimento di Salute mentale ha lanciato il progetto “Telepsichiatria per i pazienti dell'ospedale San Paolo”. “Tra gli obiettivi di questo servizio – fa sapere in una nota la dottoressa Valentina Barbieri, Responsabile del Centro di Via Ovada – c’è anche quello di limitare l’esposizione mediatica alle notizie sull’epidemia di Covid-19 [...] cercando di contenere le reazioni di panico e allarme”. Panico e allarme. Come i sentimenti che ha provato Carla quando ha avuto notizie di cronaca riguardanti il Pio Albergo Trivulzio.

“Nonni connessi” è invece il nome che prende uno dei rami d'intervento realizzati da “Bicocca per la cittadinanza”, progetto dell'ateneo milanese per far fronte alle difficoltà psicologiche sotto il coronavirus. E ancora: l'Ordine degli Psicologi della Lombardia ha messo in piedi il sito lopsicologotiaiuta.it e un numero verde attivo tutti i giorni dalle 9 alle 18.

L'Ats della Città metropolitana di Milano ha attivato un altro servizio telefonico di ascolto e supporto psicologico. Sipem Lombardia, Società Italiana di Psicologia dell'Emergenza, ha creato “Pronto Psy-Covid 19”: un altro numero ancora, questa volta di cellulare invece che fisso. La Croce rossa a sua volta fa operazioni di supporto dove ha i presidi. Jonas Onlus – Centro di Clinica psicoanalitica per i Nuovi Sintomi – ha inaugurato un altro numero verde. La Società psicanalitica italiana (Spi) ha messo a disposizione un servizio di ascolto e consulenza psicanalitica. La Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva ha lanciato il progetto “Amicopsicologo”. Senior Italia FederAnziani assieme a WINDTRE ha pensato a un originalissimo “servizio di ascolto psicologico gratuito”. Medicina Democratica insieme a “37e2”, la trasmissione sulla salute di Radio Popolare condotta da Vittorio Agnoletto, collabora a sua volta con l'Università Bicocca allo sportello di ascolto attivato dal Dipartimento di Scienze Umane.

Inutile proseguire in questa infinita rassegna di iniziative solidali. Il succo è chiaro. Sono tutti progetti che si basano su un presupposto: cari anziani soli (e magari malati, intrattabili o con disturbi mentali), chiamateci al telefono che vi aiutiamo. Quando abbiamo proposto a Carla di telefonare ad uno di questi numeri, vi lasciamo immaginare la reazione dell'anziana signora di via Tertulliano di fronte alla parola “psicoterapeuta”. Allora abbiamo provato a prenderci gioco di lei e dirle che è un nostro amico, e non un medico, a rispondere al telefono. E che lo pagano sulla base di quante telefonate riceve. Quindi se lei lo chiamasse gli darebbe anche una mano a guadagnare qualcosa in questo periodo di magra. Reazione più morbida ma Carla è stata comunque categorica: “Digli che mi dispiace ma io non ho voglia di parlare con sconosciuti”. Già. Lei vuole parlare con noi e solo con noi. Fino a quando anche una sola persona “vera”, appartenente al suo piccolo mondo fatto di un condominio e quattro strade circostanti, le darà retta lei non si rivolgerà a nessuno delle decine di servizi nati nelle ultime settimane. Del resto come darle torto. Forse lo farà quando sarà completamente abbandonata da tutti e a quel punto anche il servizio di ascolto psicologico sarà inutile perché la sua situazione si sarà cronicizzata fino a diventare irrecuperabile. Non è un problema dell'oggi legato all'emergenza. È un problema strutturale e culturale del nostro intero apparato di politiche sociali: dalla disabilità, alla tossicodipendenza, al recupero dei detenuti in società, passando per i richiedenti asilo e i giocatori d'azzardo patologici. Sono sempre loro a dover fare il primo passo. A doversi mostrare “meritevoli” di aiuto da parte del settore pubblico o del privato sociale. Non è un caso che il modello della “linea verde” a Milano sia stato replicato anche sul gioco d'azzardo ormai 5 anni fa o sulla tossicodipendenza nel 2019 con la “help line droga”. Il tossico che decide di chiamarla probabilmente ha già risolto il 70 per cento dei suoi problemi.

Quindi? Quindi riavvolgiamo il nastro. Che cosa ha fatto lo youtuber Frank Matano? In un video caricato da Fanpage compone un numero di telefono a caso. Risponde un'anziana signora: “Visto che è un momento in cui siamo tutti a casa e mi annoiavo, volevo farci un po' di compagnia capisce?” le dice Matano al telefono. “Guardi, siamo due persone di una certa età” risponde la donna imbarazzata, forse scambiando quel “farci compagnia” per un invito di altra natura. L'equivoco viene chiarito subito. La conversazione prosegue. Lo youtuber e la signora finiscono per giocare alle parole crociate insieme al telefono. E solo dopo l'intrattenimento con lei, prima di riattaccare, Matano le dice: “Le volevo dire una cosa signora: che andrà tutto bene e che insieme magari qualche altra volta faremo delle altre parole crociate. Mi ha fatto piacere stare con lei, tante belle e buone cose”. Semplice. Efficace. Ha chiamato lui e condotto la conversazione come se fosse l'anziana donna ad avergli fatto un piacere. Non viceversa. Forse il nostro intero sistema di politiche sociali, di welfare pubblico-privato, di onlus, cooperative sociali, ordini professionali, terapisti dell'emergenza, counselor e via dicendo, potrebbe imparare molto guardando su youtube i video di Frank Matano.

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