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Milano
Borghi (FederModaItalia): Covid, perdite per 20 mld e 20mila aziende a rischio
Renato Borghi

Borghi (FederModaItalia): bilancio drammatico, perdite per 20 miliardi e 20mila aziende a rischio

Milano – La pandemia ha colpito pesantemente il mondo del commercio e a pagare il prezzo più caro è stato il settore della moda. Renato Borghi, presidente di FederModaItalia (Confcommercio), che considera “devastanti” per il settore le stagioni appena vissute: 20 miliardi persi e 20mila imprese a rischio.

Presidente Borghi però la stagione dei saldi ha portato un po' di effervescenza nei negozi del comparto moda?

“Premesso che è impossibile paragonare l’andamento dei saldi di quest’anno con quello del 2020 che ancora non era stato toccato dagli effetti devastanti della pandemia, dopo aver registrato un calo a gennaio del 41,1%, posso già anticipare con una certa sicurezza che il retail della moda non è riuscito, neppure con i saldi di febbraio, ad invertire il trend negativo dell’ultimo quarto del 2020, senza possibilità di recuperare le ingenti perdite della stagione autunno/inverno”.

Milano e la Lombardia hanno sofferto come tutti e forse di più i limiti della pandemia. Col senno di poi potevano essere gestite meglio le limitazioni?

“Il 7 marzo si concluderà a Milano e in Lombardia il periodo dedicato alle vendite di fine stagione. Il bilancio rimane fortemente negativo anche per le restrizioni dovute alla zona rossa proprio nel periodo più importante delle vendite. Dal secondo weekend, infatti, abbiamo subito un’ulteriore chiusura da zona rossa di una settimana per un errore, peraltro, non ancora risarcito. Qui si è poi sofferto in modo particolare il drastico calo dei tradizionali flussi dei lavoratori dipendenti pubblici e privati, in smart working, e la quasi totale assenza dei turisti extra UE che spendevano nella sola capitale della moda oltre 2,5 miliardi di euro, con uno scontrino medio nei fashion store di 1.098 euro nel 2019. L’assenza di eventi, fiere e sfilate in presenza ha complicato ulteriormente lo scenario. Quanto alle limitazioni, possiamo aprire il nostro cahier de doléances sulla penalizzazione prodotta principalmente al dettaglio moda dalle restrizioni alle attività del dettaglio nelle zone rosse dal susseguirsi dei diversi Decreti. Possono, infatti, rimanere aperte, praticamente tutti gli altri negozi su strada come: elettronica di consumo, audio e video, elettrodomestici; librerie; cartolai; giornalai; ferramenta; profumerie, fioristi, negozi di animali e cibo per animali, ottica e fotografia, abbigliamento e calzature solo per bambini; biancheria intima; articoli sportivi e biciclette; concessionarie d'auto e moto; detersivi; lampadari e illuminazione; farmacie; articoli igienico-sanitari. Mentre i negozi di moda, no. Nonostante la corsa alla digitalizzazione e le consegne a domicilio, gli affari nella moda li hanno fatti solo i colossi del web che hanno approfittato delle nostre chiusure. Pesanti sono state le ricadute sul settore anche quando si è in zone gialle e arancioni per i danni indiretti causati dalle restrizioni agli spostamenti tra regioni ed addirittura tra comuni e dalle chiusure imposte per il divieto di feste nei luoghi al chiuso e all'aperto, ivi comprese quelle conseguenti alle cerimonie civili e religiose. Ci siamo così ritrovati a fare i conti sulle mancate vendite di capi di moda, del tessile, abbigliamento, calzature, pelletteria, accessori ed articoli sportivi nei periodi e nelle ore tipicamente dedicate allo shopping, perdendo anche gli acquisti per cerimonia e feste (matrimoni, cresime, comunioni, battesimi) e per tutte le occasioni d’incontro che sono saltate. A questo si aggiunga la chiusura dei negozi nei centri commerciali. Così è stato facile superare il calo medio nazionale di oltre il 40% rispetto all’anno scorso”.

Stiamo entrando in un'altra fase difficile, con nuovi limiti causa Covid. C'è qualche suggerimento da dare a chi ha responsabilità di governo, per affrontare la situazione?

“Siamo di fronte a due generi di scenari: uno rivolto al breve perché veniamo da due stagioni devastanti con i magazzini pieni di merce invenduta che, trattandosi di prodotti di moda suscettibili a notevole deprezzamento se non venduti nella stagione, non solo ha perso il 75% del suo valore, ma anche viene tassata. Su questo fronte, oltre ad un indennizzo coerente e proporzionato alle effettive perdite di fatturato per le aziende della distribuzione commerciale del dettaglio e ingrosso moda senza dover sottostare a soglie minime di perdita, è indispensabile una risposta del governo alla esigenza di rottamazione dei magazzini, con un contributo sotto forma di credito d’imposta del 30% sulle rimanenze dell’anno. Le mancate entrate dai saldi, inoltre, generano tensioni finanziarie che preoccupano non solo i commercianti, ma anche i fornitori che non consegnano le collezioni primavera/estate prima di aver visto saldate le fatture della stagione autunno/inverno, originando così un effetto di avvitamento della filiera della moda. Serve, quindi, che il governo accompagni le imprese con finanziamenti supportati da importanti garanzie statali, senza tener conto del naturale abbassamento del rating aziendale del nostro settore. Sullo scenario di medio lungo termine, guardiamo con fiducia al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che, se ben governato, potrà rappresentare un’opportunità di sicuro interesse per il Paese e che dovrà necessariamente riguardare anche la rigenerazione urbana in un’ottica di sostenibilità, innovazione, turismo, prossimità e occupabilità. Non vanno, infine, dimenticati quei negozi di camicie e maglieria, chiusi per DPCM del 3 novembre 2020, ma – avendo lo stesso codice Ateco 47.71.30 dei negozi di biancheria personale – ingiustamente ed inspiegabilmente esclusi da ogni tipo di ristoro”.

C'è qualche suggerimento da dare a chi ha responsabilità di governo, per affrontare la situazione?

“Le misure restrittive a geometrie variabili per contenere e limitare il contagio, seppur comprensibili dal punto di vista dell’esigenza di tutela della salute e per evitare un lockdown generalizzato, non hanno rappresentato un’efficace soluzione al problema della diffusione del covid-19 ed hanno avuto al contempo un impatto devastante sul settore moda; l’unico, tra le attività commerciali al dettaglio, davvero penalizzato dalle chiusure selettive e a non poter esercitare il diritto al lavoro. Più che un suggerimento è una richiesta di trovare soluzioni alternative a nuovi lockdown per il settore moda per far coesistere il diritto al lavoro con l’esigenza della tutela della salute”.

A un anno dall'inizio della pandemia qual'è il bilancio economico della categoria?

“Il prossimo 10 marzo sarà un anno esatto dall’inizio del primo lockdown e delle conseguenti gravi preoccupazioni per lo stato di salute delle persone e delle nostre attività. Il bilancio è estremamente preoccupante perché la nostra categoria ha registrato una perdita di 20 miliardi di euro di consumi in prodotti di moda, tessile, abbigliamento, calzature, pelletteria, accessori. Una crisi che si riflette con il rischio di chiusura di almeno 20 mila aziende del dettaglio moda con il coinvolgimento di 50 mila addetti”.

 

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