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Coronavirus, i medici di famiglia: "Noi in prima linea, ma non siamo protetti"

Coronavirus, i medici di famiglia: "Noi in prima linea, ma non siamo protetti"

Coronavirus, sessanta medici di famiglia di Milano e provincia hanno inviato una lettera di fuoco al ministro della Salute Roberto Speranza, al presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e all'assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera, ma anche al direttore generale dell'Ats Città metropolitana di Milano Walter Bergamaschi. I professionisti, che si firmano "medici di medicina generale dal fronte", avvertono che si starebbe "giocando con il fuoco". Recita la missiva: "Inizia una nuova settimana di fuoco e, come sempre, saremo in trincea, in prima linea. Ma con quali armi? Nonostante le promesse e le rassicurazioni, finora i dispositivi di protezione individuale (Dpi) sono stati dati solo ai colleghi della zona rossa, alla continuità assistenziale, al 112, al pronto soccorso, agli ospedali, ma non ai medici di medicina generale".

"Noi - proseguono i firmatari della lettera - vogliamo continuare ad essere al fianco dei nostri pazienti, ma come possiamo farlo efficacemente se non ci vengono dati gli strumenti minimali per difenderli e difenderci? Siamo una delle ultime barriere contro l'estensione dell'infezione. Senza noi ci sarebbe l'assalto al pronto soccorso. Se il sistema non collassa, gran merito è anche per la nostra attività costante di triage, selezione, consiglio, visita, pur continuando ad essere attivi per la quotidiana attività per i pazienti cronici, per le acuzie, per la prevenzione e, in particolare, per l'influenza stagionale, con la frequente difficile diagnosi differenziale con l'infezione da coronavirus".

"Abbiamo la sensazione - è il contenuto della lettera, come riferisce Adnkronos - che il nostro ruolo e i rischi spesso non sia da voi conosciuto/riconosciuto. Ormai sono sempre più i medici di famiglia in quarantena o ricoverati e senza i dispositivi di protezione individuali (ormai introvabili, ma obbligatori secondo tutte le varie circolari). Questo numero aumenterà sempre di più, con le conseguenze drammatiche che potete immaginare".

Non solo, è la conclusione, "rischiamo di ammalarci, ma rischiamo di diventare delle bombe biologiche che possono propagare l'infezione. Possiamo capire le difficoltà di approvvigionamento dei Dpi, non ci interessa sapere di chi è la colpa per la mancata consegna, non vogliamo il solito capro espiatorio, ma non possiamo più accettare questa sempre più assurda e pericolosa situazione. Facciamo nostro l'accorato invito di due colleghe della zona rossa: se non volete che la situazione diventi sempre meno controllabile 'mettete tutti i medici di medicina generale ancora sani in condizione di non ammalarsi'".

L'allarme è rilanciato anche da  Paola Pedrini, segretario di Fimmg Lombardia: "A dieci giorni dall'inizio dell'emergenza coronavirus noi medici di famiglia e di guardia medica in Lombardia stiamo lavorando in condizioni particolarmente critiche. Dobbiamo segnalare infatti (nonostante le continue promesse degli organi competenti) la mancata fornitura da parte delle ATS di idonei dispositivi di protezione individuale (DPI), indispensabili per proteggersi dal rischio di contrarre l'infezione, anche se sembra che in giornata ne cominci la distribuzione (con il contagocce e non sappiamo se in tutti i territori)".

"Nelle province dove la fornitura e' avvenuta, i numeri, infatti, non sono neanche lontanamente bastanti a garantire le attivita' cliniche in sicurezza dei colleghi - prosegue - tenuto conto del carico di lavoro per singolo medico. La situazione e' tanto piu' drammatica se si tiene conto del rischio di contrarre la patologia non solo per i medici di medicina generale, che rimangono i primi interlocutori per i pazienti, ma anche e soprattutto, per gli assistiti piu' fragili con cui questi vengono a contatto quotidianamente. La medicina del territorio, infatti, nonostante il contesto attuale e il carico di lavoro quotidiano, continua ad essere vicina e ad accompagnare i pazienti piu' complessi e, con profondo senso etico, non puo' ne' vuole esimersi dal farlo. La mancanza di DPI e' stata fino ad oggi vicariata in modo parziale e sicuramente insufficiente, dalla buona volonta' di molti colleghi che li hanno reperiti con iniziative individuali, spesso anche a proprie spese".

Inoltre, sottolinea Pedrini, "numerosi medici di medicina generale, che si sono posti in auto-quarantena per un contatto a rischio, continuano comunque a lavorare svolgendo dai loro studi servizi di consulenza telefonica e prescrizione di terapie ripetitive per non far mancare il supporto e l'assistenza ai propri pazienti e venendo vicariati soltanto nelle visite ambulatoriali o domiciliari dai colleghi; questo perche' da parte delle ATS e' mancato, e continua a mancare, il supporto per trovare sostituiti che possano supplire alla loro assenza. Va detto inoltre che il tampone spesso non viene eseguito, nemmeno se il medico e' sintomatico; e' palese come l'eventuale positivita' di un sanitario operante sul territorio, possa avere, in questo contesto, un impatto rilevante ai fini profilattici. Tralasciamo ogni polemica riferibile alle notizie provenienti dai media circa l'esito di tamponi effettuati da svariate autorita' locali senza che nessuno dei criteri richiesti per l'esecuzione del tampone (criteri peraltro previsti dalle disposizioni delle stesse autorita') sia soddisfatto: purtroppo questo fa percepire a tutta la categoria, e ai colleghi sintomatici in particolare, una profonda distanza da parte delle istituzioni nei confronti di chi si trova in prima linea per arginare questa criticita' con mezzi, come detto, spesso insufficienti. Crediamo che mai come in questo momento il ruolo della medicina non possa essere considerato meno importante di quello della politica: non si puo' pensare che la politica riesca a curare senza medici, e i medici hanno bisogno della buona politica per curare meglio".

Una situazione che per i medici di famiglia "e' intollerabile, vogliamo risposte chiare e provvedimenti efficaci, non possiamo continuare a mettere a repentaglio la salute nostra e dei nostri assistiti per inadempienze da parte di chi, invece, dovrebbe tutelare la salute di tutti".

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