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Coronavirus, i medici lombardi attaccano Regione: "Emergenza malgestita"

Coronavirus, i medici lombardi attaccano Regione: "Emergenza malgestita"

"Una situazione disastrosa in cui si è trovata la nostra regione, anche rispetto a realtà regionali vicine, che può essere in larga parte attribuita all’interpretazione della situazione solo nel senso di un’emergenza intensivologica, quando in realtà si trattava di un’emergenza di sanità pubblica": è uno dei passaggi più duri della lettera inviata dalla Federazione regionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri della Lombardia, con firme dei responsabili degli ordini di tutte le province lombarde, ai vertici di Regione Lombardia. Lo riporta oggi Open. I medici, rivolgendosi al Governatore Attilio Fontana ed all'assessore al Welfare Giulio Gallera, aggiungono: "È evidente l’assenza di strategie relative alla gestione del territorio – scrivono dall’ordine, nonostante – l’ottimo intervento sul potenziamento delle terapie intensive e semi intensive, per altro reso possibile dal sacrificio dei medici e degli altri professionisti sanitari". Pur ricoscendo che "non è questo il momento dell’analisi delle responsabilità", i medici aggiungono che "la presa d’atto degli errori occorsi nella prima fase dell’epidemia può risultare utile alle autorità competenti per un aggiustamento dell’impostazione strategica, essenziale per affrontare le prossime e impegnative fasi".

L'accusa dei medici è che gli amministratori regionali si sarebbero concentrati prevalentemente sulla carenza di posti in terapia intensiva sottovalutando altri aspetti non meno importanti. Da qui l'attacco alle politiche degli anni passati: "La sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra regione". La FROMCeO lamenta anche la mancata presa in considerazione da parte delle istituzioni preposte della espressa disponibilità al confronto ed alla collaborazione.

Segue un circostanziato elenco di errori imputabili a Regione Lombardia:

«La mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia, legata all’ esecuzione di tamponi solo ai pazienti ricoverati e alla diagnosi di morte attribuita solo ai deceduti in ospedale. I dati sono sempre stati presentati come “numero degli infetti” e come “numero dei deceduti” e la mortalità calcolata è quella relativa ai pazienti ricoverati, mentre il mondo si chiede le ragioni dell’alta mortalità registrata in Italia, senza rendersi conto che si tratta solo dell’errata impostazione della raccolta dati, che sottostima enormemente il numero dei malati e discretamente il numero dei deceduti».

«L’incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio».

«La gestione confusa della realtà delle Rsa e dei centri diurni per anziani, che ha prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite umane. Nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6000 ospiti in un mese».

«La mancata fornitura di protezioni individuali ai medici del territorio (Mmg, Pls, Ca e medici delle Rsa) e al restante personale sanitario. Questo ha determinato la morte di numerosi colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile e involontaria diffusione del contagio, specie nelle prime fasi dell’epidemia».

«La pressoché totale assenza delle attività di igiene pubblica, ad esempio negli isolamenti dei contatti, nei tamponi sul territorio a malati e contatti, eccetera».

«La mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari del territorio e in alcune realtà delle strutture ospedaliere pubbliche e private, con ulteriore rischio di diffusione del contagio».

«Il mancato governo del territorio ha determinato la saturazione dei posti letto ospedalieri con la necessità di trattenere sul territorio pazienti che, in altre circostanze, avrebbero dovuto essere messi in sicurezza mediante ricovero».

Le proposte? Tra le altre, "sottoporre tutti a test rapido immunologico, una volta ufficialmente validato, e, in caso di riscontro di presenza di anticorpi, sottoporre il soggetto a tampone diagnostico". Ed ancora : "In caso di positività in assenza di sintomi potrebbe essere da valutare la possibilità, in casi estremi con l’attribuzione di specifiche responsabilità e procedure, di un’attività solo in ambiente COVID, sempre con protezioni individuali adeguate. Il test immunologico andrebbe ripetuto con periodicità da definire negli operatori sanitari risultati negativi".

La ripresa del lavoro dovrebbe essere subordinata all’effettuazione del test immunologico. È evidente come tale procedura comporti un rilevante impiego di risorse, soprattutto umane, ed è altresì evidente come la stessa, al momento, sia l’unica atta a consentire la ripresa dell’attività lavorativa in relativa sicurezza. A tale scopo Regione Lombardia dovrà mettere in campo tutte le risorse umane ed economiche disponibili".

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