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Milano
Da Bergamo a Piacenza, zone non rosse che adesso sono centro della ripartenza
di Francesco Floris


“È stata un’esperienza terribile”. Lo abbiamo sentito a Bergamo, ad Alzano e Nembro. Ci siamo abituati. Ma Margherita è di Piacenza e sceglie le stesse parole dei lombardi piegati dal Covid: “Conosco tantissime persone vicine e conoscenti che sono state toccate da lutti – dice – io ancora mi chiedo perché la mia città è stata lasciata aperta, i suoi abitanti liberi di circolare senza precauzioni per altre due settimane, dopo l’istituzione della zona rossa solo a 10 chilometri da noi. E forse mi sbaglio, ma non mi sembra che a livello mediatico la situazione in cui versava la mia città sia stata descritta con l’attenzione che meritava”. Un'emiliana adottata da Milano per lavoro, rientrata “in patria” nel mezzo del lockdown perché “abito in una manciata di metri quadri”. Codogno a nord. Piacenza a sud. In mezzo il Po, una manciata di chilometri e un virus che non ha problemi a guadare il fiume. Infatti, meno toccanti nelle parole ma chiari nel descrivere il quadro, sono i numeri dell'Istat che Affaritaliani.it Milano ha pubblicato il 17 giugno: la provincia di Piacenza ha avuto nel mese di marzo 2020 un aumento del 271 per cento di morti rispetto il periodo 2015-2019, lo scostamento rispetto alle media del quinquennio che secondo l'istituto nazionale di statistica rende meglio l'idea e l'impatto della pandemia sulla mortalità, a prescindere da sistemi sanitari o di classificazione dei decessi e dalla presenza dei test. Sono morte 2.461 persone con tasso di 240,8 per 100.000 abitanti, leggermente più basso di Bergamo, identico a Cremona. Cosa è successo? Perché non si parla di inchieste giudiziarie, fascicoli per accertare i fatti, non ci sono amministratori locali o governanti nazionali nel mirino delle Procure o di comitati per la giustizia?

Lo chiamano “il magazzino d'Italia”. Perché accanto al distretto “dell'oro rosso” (il pomodoro), con aziende e industrie di trasformazione agroalimentare, è diventata la logistica la nuova materia prima dell'economia piacentina, integrata nelle catene del valore globale. “Un piacentino su dieci lavora nella logistica” è il dato presentato già un paio d'anni fa alla Biennale della Logistica che si tiene in città e riportato dalla stampa locale. La geografia del lavoro vede gli hub collocati fra Pontenure, Fiorenzuola, passando per la “cittadella” di Amazon a Castel San Giovanni. La geografia dei provider parla di Geodis, Amazon, Rajapack, Adveo Italia, Ceva, DSV Saima Avandero. Per marchi di ogni tipo: Bosch, LG Electronics, Conad, QVC, Leroy Merlin, Yamaha e Giochi Preziosi. In continua espansione. In pandemia tutto è rimasto aperto per garantire l'approvvigionamento di merci nella penisola. “Sui magazzini che seguo, tanti fra il piacentino e il lodigiano, solo Ceva Logistics a Somaglia ha chiuso” racconta l'avvocato Lorenzo Venini, giuslavorista milanese che segue diversi sindacati e lavoratori della zona. I forti sindacati di base che da dieci anni dominano il panorama negli hub e nelle cooperative di lavoro fra scioperi, picchetti, blocchi stradali, cambi appalti con clausole sociali, hanno denunciato il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Il settore ha criticità che altre industrie non hanno. Si possono siglare tutti i protocolli del mondo ma nei magazzini ci si muove e ci si sposta. Impossibile lavorare fissi da una postazione dopo averla igienizzata. Polemiche che non hanno avuto la cassa di risonanza che ha invece infuocato il dibattito sulla scelta di non istituire subito una zona rossa in bergamasca dopo le pressioni confindustriali. Pressioni negate dalla politica lombarda e romana, anche in Procura a Bergamo, ma ribadite dagli stessi imprenditori. Come ha detto ad aprile a The Post Internazionale Paolo Borrometi, leader degli industriali lombardi: “Ci siamo confrontati, ma non si potevano fare zone rosse. Non si poteva fermare la produzione”. Perché “Il vero errore è stato quello di lasciare che la gente andasse in giro, andasse nei bar, nei ristoranti, nelle discoteche” mentre per i morti in bergamasca “ci sono diverse ragioni: innanzitutto qui c’è una presenza massiccia di animali e quindi c’è stata una movimentazione degli animali che ha favorito il contagio, parlo degli allevamenti, e questa potrebbe essere una causa”. Salute e economia. Accade spesso che non vadano d'accordo. In Italia se ne sa qualcosa a varie latitudini. A Piacenza in pochi hanno affrontato il problema delle mancate chiusure o delle condizioni di sicurezza negli stabilimenti chiedendo conto alle associazioni datoriali della logistica, del mondo cooperativo che fornisce la manodopera in appalto e della filiera agroindustriale. Il minimo delle norme per continuare a operare sono state mediamente rispettate ma senza mai fare quel passo in più che può risparmiare delle vite. Casi di lavoratori deceduti da Covid – con certificato di morte che lo attesta – e la decisione aziendale di attendere, per giorni, la chiamata delle autorità sanitarie locali prima di sospendere le attività. Perché così prevede il protocollo. Peggio è andata nelle strutture per anziani. Ci sono singoli casi con 15 morti su 40 ospiti e la quasi totalità del personale e delle oss contagiate. Chi si è salvato fra i lavoratori e che ora minaccia cause o vertenze deve anche assistere allo spettacolo della propria Rsa che chiude per andare altrove.

La centralità del distretto emiliano che ne ha impedito la chiusura e l'isolamento oggi la si ritrova anche nelle carte. Piacenza è nel cuore dei vari decreti “rilancio”, “cura”, “rinascita” o piani. Anche perché può vantare su una sua concittadina in un ruolo chiave. Paola De Micheli, ministra delle infrastrutture e dei trasporti.  Da Piacenza quindi non si scappa. Come non si scappa su un'altra delle frecce scoccate dal governo. L'ecobonus al 110 per cento con possibilità di cedere il credito d'imposta. Misura che sta facendo letteralmente impazzire gli amministratori di condominio e le imprese. Fra rischi di sovrafatturazione e riconversione energetica “green” e sostenibile. “Gente che prima non voleva cacciare un euro adesso vuole ristrutturare che nemmeno la Reggia di Caserta” racconta ironicamente ad Affaritaliani.it Milano un addetto ai lavori del settore immobiliare. Gli interessi per la misura arrivano ben oltre le Alpi. Con fondi previdenziali tedeschi a caccia di rendimenti che vogliono investire in Italia sull'ecobonus, come ci dice un avvocato milanese di grosse gestioni condominiali fresco di una riunione con investitori internazionali. Così un ruolo nel grande piano di riconversione energetica lo avrà anche Iren Spa. Big fra le multiutility dell'energia dell'omonimo gruppo Iren, holding industriale con sede a Reggio Emilia e poli operativi a GenovaParmaPiacenzaReggio Emilia, Torino, La Spezia e Vercelli. Cresciuta di stazza, fondendosi con le varie partecipate di gas e energia delle altre città. La ripartenza passa anche da qui. 

 
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