Della Vedova (+Europa), sul lavoro dobbiamo dire la nostra senza inseguire Landini - Affaritaliani.it

Milano

Ultimo aggiornamento: 11:59

Della Vedova (+Europa), sul lavoro dobbiamo dire la nostra senza inseguire Landini

Oggi l’evento del Circolo Matteotti a Milano: ‘Grande dinamismo nei riformisti, va trasformato in consenso elettorale’

di Nicolò Rubeis

Della Vedova (+Europa), sul lavoro dobbiamo dire la nostra senza inseguire Landini

Archiviati i referendum, il Circolo Matteotti, nato a Milano per riunire tutte le varie energie riformiste, vuole dire la sua sul lavoro: "Non dobbiamo continuare a inseguire la Cgil che ci riporta indietro di 30 anni" spiega il deputato di +Europa Benedetto Della Vedova, tra i protagonisti di un evento che si terrà oggi in città. “Visto che la maggioranza non se ne occupa, l'opposizione deve giocare all'attacco ma certamente non rincorrendo l’agenda di Landini" prosegue Della Vedova, che interviene anche nel dibattito attorno al mondo riformista, corteggiato dal centrodestra in vista delle prossime comunali milanesi: "Serve un confronto vero, a partire dal Pd, per capire se si può costruire un'alleanza vincente. Io mi ostinerò a dare il mio contributo per un'alternativa liberale, europeista e riformatrice".

Della Vedova, quale è il senso dell'iniziativa di oggi?

La riflessione che avevamo fatto come circolo Matteotti prendeva lo spunto anche dai referendum. Simbolicamente e politicamente la consultazione di giugno ha come chiuso un cerchio. Dagli anni novanta si discuteva di riforme del lavoro, ci fu il pacchetto Treu e poi nel 2015 è arrivato il Jobs Act, che ha dato una spinta riformatrice obiettivamente importante. Ora la Cgil di Landini ha cercato di eliminarlo: il referendum è fallito ma ci ha riportato a una discussione di 30 anni fa. Dopo il Jobs Act le norme sono rimaste quelle, al netto di aggiustamenti e di qualche sentenza della Corte Costituzionale. Noi non dobbiamo inseguire la Cgil che ci porta 30 anni indietro ma guardare 30 anni avanti e portare una discussione sul tema totalmente diversa.

Ma anche il Jobs Act andrebbe aggiornato?

Anche se sono passati dieci anni, continuo a pensare che il Jobs Act sia stato un momento di rottura positiva sia nel merito sia nel metodo. Le riforme si fanno, vai al governo per quello. E i risultati sono arrivati. Nel frattempo le cose sono cambiate rapidamente. C'è il tema del declino demografico, dei salari, della formazione, della produttività e dell'uso delle nuove tecnologie come l'intelligenza artificiale. Oggi occuparsi di lavoro in chiave riformatrice significa aprire una discussione su tutto questo.

Sui salari si è tornato a parlare anche di differenziazioni in base al costo della vita. Lei che ne pensa?

È evidente che c'è una differenziazione nel costo della vita che, a parità di condizioni, rende le retribuzioni reali totalmente diverse geograficamente. Pensiamo ai funzionari pubblici: vivere a Milano, per esempio, ha un costo diverso rispetto ad altre aree del Paese, specie al Sud. Su questo non possiamo far finta di niente. Un tema sempre tabù per il sindacato, poi, è quello della contrattazione di secondo livello. Non è vero che contrattare una parte della retribuzione in ambito territoriale genera competizione a ribasso. Questi sono tutti argomenti su quali noi abbiamo il compito di dire la nostra.

Giusto ancora insistere sul salario minimo?

Avevamo fatto una proposta, che era correggibile, ma il governo l'ha bocciata. Loro sono incapaci di ragionare su questa questione e si beano di risultati nel mondo del lavoro che sono sì positivi ma solo quantitativamente. E visto che la maggioranza su questo non è pervenuta, l'opposizione deve giocare una partita in attacco con idee innovative. Il salario minimo aveva senso a maggior ragione se si ragiona su una contrattazione decentrata. Era sicuramente un'innovazione che riguardava il lavoro povero, che è un pezzo del problema. C’è anche un problema di stipendi alti, che sono troppo pochi e spesso spingono persone formate in Italia ad andarsene.

A Milano, intanto, si sta animando anche il dibattito sul posizionamento del mondo riformista, corteggiato anche dal centrodestra.

Io mi ostinerò fino alla fine a dare il mio piccolo contributo alla costruzione di un pezzo di alternativa europeista, liberale, riformatrice e riformista. Serve una forza autonoma, non uno spin off. Noi abbiamo una visione autonoma e distinta sull'Europa, sulla politica internazionale o sul riarmo. Il problema è che oggi siamo ininfluenti perché rimaniamo divisi. Io penso, e l'ho sempre pensato, che ci debba essere una logica federativa. Serve un polo 'non terzo', che non voglia restare indifferente davanti alle derive sovraniste di Meloni e Salvini.

Quindi lo sguardo deve essere sempre verso il centrosinistra?

Sicuramente è necessario ingaggiare il Pd per fare questi ragionamenti. Ma serve un confronto vero per capire se c'è la possibilità di costruire un'alleanza vincente a cui partecipare. Non lo si può dare per scontato e l’alternativa a Meloni e Salvini non deve e non può essere una cosa saldata 'tutta a sinistra'. Il Circolo Matteotti non ha l'ambizione di diventare partito. Vuole mettere insieme quelle energie politiche e intellettuali di un'area e diventare un collante per tutti i riformisti e riformatori. C'è un grande e positivo dinamismo che ad un certo un punto, in un modo o nell’altro, si dovrà provare a trasformare in consenso elettorale.








A2A