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Milano
Foreign fighter condannato a 8 anni. "E' pentito, vuole tornare a Milano"

Terrorismo: parti' da Orio per Siria, 8 anni a Monsef

La prima Corte d'Assise di Milano ha condannato a 8 anni di carcere Monsef El Mkhayar, il marocchino di 21 anni ora in Siria partito dall'aeroporto di Orio il 17 gennaio del 2015 per unirsi all'Isis in Siria. E' stata cosi' accolta la richiesta del pm Piero Basilone che aveva chiesto 8 anni sostenendo ci fosse "una grande mole di prove" a carico del giovane accusato di terrorismo internazionale (articolo 270 bis del codice penale). Le motivazioni saranno depositate tra 90 giorni. Monsef si troverebbe attualmente in Siria assieme alla moglie e alla figlia e, stando a una zia e agli accertamenti svolti dalla Digos, si sarebbe dissociato dall'Isis e sarebbe pronto a tornare in Europa.

- L'avvocato Giampaolo Di Pietto, legale di Monsef, aveva chiesto l'assoluzione del suo assistito. Nella sua breve arringa, durata una decina di minuti, il legale aveva contestato la solida certezza del pm che esista l'associazione terroristica Islamic State sostenendo che "non c'e' il presupposto giuridico per una condanna": "Con gli occhi di oggi, Che Guevara e Garibaldi sarebbero visti come foreign fighter. Queste persone hanno deciso che quello e' il loro Stato, con le loro regole. La stessa giurisprudenza internazionale comincia ad ammettere la possibilita' che un giorno l'Islamic State venga riconosciuto e, se dovesse essere riconosciuto, tutti questi reati sparirebbero". "Quelli addebitati a Monsef - aveva argomentato il difensore - sono reati di pensiero. A Monsef viene contestato il reato di proselitismo ma nessuno ha poi deciso di andare a combattere e anche sul combattimento non ci sono prove dirette. Non c'e' la certezza che sia andato in guerra, anzi oggi un teste ci ha detto che era in Libia, altri che era in Siria".

Terrorismo: pm, foreign fighter Monsef 'pentito', vuole tornare

Monsef El Mkhayar, il presunto foreign fighter marocchino di 21 anni ora in Siria e imputato a Milano per terrorismo internazionale, si sarebbe dissociato dall'ideologia jihadista e vorrebbe tornare in Europa. E' quanto emerge dalle indagini svolte dal pm Piero Basilone dopo che nell'udienza del 9 marzo scorso la zia del ragazzo, Malika, aveva raccontato ai giudici che il nipote al telefono gli aveva consegnato, pochi giorni prima, questo messaggio: "Non ce la faccio piu' a vedere gente sgozzata, teste mozzate e tutto questo sangue. Voglio tornare in Italia, voglio uscire e scappare dalla guerra perche' non ho trovato quello che cercavo". Gli accertamenti svolti dalla Digos e dalla Procura avrebbero appurato che in effetti Monsef, che ora ha una moglie siriana e una figlia, avrebbe tutte le intenzioni di tornare in Europa, probabilmente nel Nord, anche se non in Italia, dove rischierebbe l'arresto. A tal fine, i suoi familiari rimasti in Italia starebbero organizzando una 'colletta' per pagargli il viaggio.

La notizia del possibile ritorno di Monsef 'pentito'in Europa e' trapelata a margine dell'udienza davanti ai giudici della Corte d'Assise in cui vengono sentiti gli ultimi testimoni dell'accusa. Tra questi, un ragazzo marocchino di 20 anni ospite della comunita' di via Jommelli dove viveva anche l'imputato. Il giovane, stando ad alcuni messaggi audio e scritti ascoltati oggi in aula e alla sua deposizione, e' stato oggetto di inviti insistenti da parte di Monsef a unirsi alla causa della jihad prima e dopo la partenza per la Siria. "Devi vivere come noi! Devi venire nella nostra terra! - e' il testo di un messaggio vocale in italiano del 20 ottobre 2016 inviato da Monsef dalla Siria - Non devi vivere coi miscredenti infedeli. Non vedi cosa fanno giorno e notte contro di noi...Le nostre donne...i nostri bambini...mandano missili...ammazzano tutti quanti...E tu sai bene queste cose qui. Se tu rimani con loro vuol dire che tu li stai aiutando e questa e' una cosa che Allah non ama...Devi venire qui nella terra dell'Islam e devi combatterli in tutti i modi: con la lingua, con i soldi, con l'anima e il corpo". "Con Monsef e Tarik (l'amico connazionale con cui Monsef ando' in Siria dove e' morto in combattimento) - ha raccontato il teste - non avevo un buon rapporto. Monsef mi parlava sempre di religione con molta insistenza, anche Tarik ma era meno insistente. Da un giorno all'altro sono andati via e non li ho piu' visti in comunita'. Poi Monsef ha cominciato a mandarmi messaggi dalla Siria dicendomi che, se volevo andare in Paradiso, dovevo partire subito. A un certo punto ho bloccato il suo numero, ma lui ha continuato a cercarmi mandandomi messaggi da un altro numero". In una circostanza, ha spiegato il teste, assieme agli altri ospiti della comunita' ha chiesto via telefono a Monsef informazioni su Tarik ricevendo questa risposta: "Tarik sta bene. Preoccupatevi per voi stessi. Siamo felici come non puoi nemmeno immaginare, e' come se fossimo appena nati".

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