Milano
Garlasco, ovvero l'apice dello schifo
L'originaria indagine sul delitto di Chiara Poggi è stato un periodo incredibile dell'informazione italiana. La cui morbosità fu alimentata dalla permeabilità del sistema giudiziario. Mentre le indagini procedevano tra molte perplessità. Il commento

Garlasco, ovvero l'apice dello schifo
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Non mi occupo più da tanti anni di cronaca nera. Eppure, mi occupo spesso di giustizia. Le due cose sono contigue, e una conseguente all'altra, ma operano su piani diversi. La prima parla nell'imminenza del misfatto, e attiene al lavoro degli investigatori e delle forze di polizia. La seconda, invece, è cosa completamente diversa: si tratta di costruire o smontare e in fin dei conti decidere dei capi di imputazione che si basano sulla fase investigativa.
Garlasco, la furia mediatica ed i deficit investigativi
Ora, uno degli ultimi casi che ho seguito è stato Garlasco, con il tremendo omicidio di Chiara Poggi. Un momento buio per la nostra informazione. Era un periodo incredibile, nel quale il piazzale sterminato del carcere dei Piccolini, dove era chiuso Alberto Stasi, il ragazzo con la faccia pulita che era diventato subito l'uomo con gli occhi di ghiaccio, si riempiva di troupe e giornalisti. Era un periodo nel quale ogni voce rimbalzava, impazzita. C'era una confusione mediatica che ho rivisto, moltiplicata purtroppo, anni dopo solo con il Covid. All'origine c'era il fatto che le indagini non erano per nulla riservate.
Il sistema, che dovrebbe essere silente, così come dovrebbe essere silente anche la parte che attiene la giustizia, invece era permeabilissimo. In tv c'erano i plastici, c'erano le puntate speciali di Porta a Porta. La gente letteralmente impazziva. Il sangue mestruale sul pedale della bici, le voci di una relazione tra Stasi e l'amico del cuore. Le illazioni. Tutto usciva come uno sbocco nel sistema mediatico. Intanto molti dei giornalisti che seguivano il caso iniziavano a pensare che la parte investigativa fosse assai deficitaria. Molto. Che le cose si avvitavano.
Se i magistrati fossero chiamati a rispondere dei loro errori...
Ora c'è la riapertura del caso, del quale confesso di sapere ben poco. E poco mi interessa. Mi interessa molto invece lo stato della giustizia e della qualità delle investigazioni in Italia. Se invece di continuare a mitizzare pm e magistrati iniziassimo ad operare una sana visione critica del loro operato, chiamandoli anche a rispondere degli errori, forse l'intero meccanismo che comporta la privazione della libertà sarebbe un po' più efficiente e di sicuro meno permeabile all'enorme pressione dei media.